La Cimberio seduta ha concluso al meglio un anno fantastico. Vincendo la penultima partita del girone d’andata con Sassari la squadra varesina di basket in carrozzina è rimasta al quarto posto in classifica utile per la qualificazione alla finale di Coppa Italia che si giocherà a metà gennaio al PalaWhirlpool. In realtà, l’Handicap Sport ha solo una possibilità per essere tra le quattro protagoniste nel quadrangolare con in palio la Coppa che la vedrà in veste di società organizzatrice: quella di vincere l’ultima partita del girone d’andata con Cantù e veder perdere Porto Torres nel derby con Sassari. Questo dice la classifica e facciamo che sarà così. Ma della Cimberio seduta c’è altro da dire oltre ai numeri. L’anno che sta finendo è stato senza dubbio quello più importante nella storia del basket in carrozzina varesino dove fino al mese di giugno le squadre sono state addirittura due, in due Paesi diversi: Italia e Svizzera. E poi i due terzi posti, in campionato e in coppa Italia, alle spalle delle inarrivabili Roma e Cantù, insieme al secondo posto della prima volta in una coppa europea. Ma il vero segnale che l’Handicap Sport è diventata grande sono le critiche. Puntuali come una volta la neve in inverno quando, soprattutto nello sport paralimpico, da “poveretti” si osa coltivare “ambiziosi”. Le principali nell’aria e non solo sono: spese eccessive, troppi stranieri, pochi varesini. Chi a Varese abbia titolo per critiche di questo tenore resta un mistero. Le spese ci sono ed il presidente Marinello con pochi altri fanno la questua ogni anno per farvi fronte. Niente contributi pubblici, niente sponsor tecnici. Tutto a pagamento, dai trasporti alla palestra. Capitolo stranieri. Arrivano a Varese per conoscenza diretta con l’unica mira di vivere un’esperienza in un Paese dove il livello della vita e del basket in carrozzina è meglio di quanto si dice, si vede e si sente. Stipendi o ingaggi sono voci che in Italia sono solo nelle possibilità di un paio di realtà che non a caso dominano il panorama da un bel pò di tempo e che a parità di budget sarebbero insieme a tutte le altre nonostante possano vantare, Roma ma soprattutto Cantù,
numeri del settore giovanile da squadra in piedi. E infine i varesini. In una città dove storicamente varesini impegnati nella promozione dello sport si possono contare sulle dita di una mano anche solo sognare di generare in pochi anni una nidiata di talenti del basket in carrozzina è pura utopia. Da quanto non è così nel calcio e nel basket di casa a Masnago dove la storia, i budget, i numeri e la passione per entrambi sono ben altri? Simpatici a tutti? Probabilmente no ma anche in questo caso è quanto meno azzardato parlare di “caratteristica esclusiva”. Cresciuti troppo in fretta? Probabilmente si ma anche in questo senso grandi esempi in zona in merito a “manager e operatori del settore” reclutabili per reggere l’impegno non se ne vedono. Insomma, restando sulla terra Varese dev’essere contenta della sua squadra di basket in carrozzina diventata quanto meno interessante per gli sponsor e per chi da Saronno a Luino avesse voglia di imparare e giocare. Si perché per imparare a giocare da seduti il talento non basta. Ci vogliono volontà, applicazione, spirito di sacrificio e cultura sportiva che comprende il rispetto delle regole, dei ruoli, dei compagni e degli avversari. La cultura della vittoria ma soprattutto quella della sconfitta. In pratica quello che dovrebbe essere insegnato ad ogni bambino che si avvicina ad ogni disciplina sportiva. Dopo i due anni trascorsi a Malnate la squadra in mano a coach Daniel Riva è tornata da settembre a Varese, nello splendido palazzetto dell’Università dell’Insubria. Un ritorno a casa ricco di significati che la dirigenza biancorossa deve saper leggere e dai quali deve ripartire resettando pregi e difetti della “crescita rapida”. Tra le priorità c’è quella di capire, far capire, cos’è e cosa vuol essere l’Handicap Sport. Ruoli e obiettivi chiari per far si che chiunque voglia condividere una realtà appassionante quanto complessa possa recitare il ruolo dello sponsor, del dirigente, dell’allenatore e del giocatore, senza per questo ergersi a “padrino” o “prim’attore”, dove ognuno fa il suo solo per la volontà di farlo. Condizione indispensabile affinchè il motto “Insieme Vincere” sia urlato da un coro sincero, convinto e determinato nel voler vincere insieme lo scudetto del bene comune.