«Basket insieme a Cerella i keniani sorridono alla vita»

Ci sono un varesino, un milanese e un senese. Sembra l’inizio di una barzelletta, ma non lo è. Cestisticamente parlando, sono tre entità difficilmente associabili, specie di questi tempi. Ma stavolta parliamo d’altro, di Slums Dunk, il progetto nato dall’idea dell’ex biancorosso Bruno Cerella e Tommaso Marino. Slums Dunk è una rivisitazione del termine “slam dunk”, ossia schiacciata, ma cambiando la vocale si ottiene “slum”, che sta a significare baraccopoli. Lo scopo del progetto è aiutare dei ragazzi della periferia di Nairobi, nella baraccopoli di Mathare, tramite il basket.

Il varesino è Simone Raso, fotografo ufficiale della Pallacanestro Varese, che a luglio è volato in Kenya assieme a Bruno, il milanese, e a Federico Cappelli, senese, direttore di Mens Sana Tv. L’asse più caldo del basket italiano, unito per Slums Dunk. Perché lo sport è il linguaggio di tutti, non c’è campanilismo che tenga.

È un’idea venuta a Bruno dopo aver letto un libro regalatogli dalla zia, “Il risveglio del leader”. In lui è nata la voglia di creare un progetto per bambini meno fortunati. Voleva farlo, ma in un Paese che non fosse l’Italia o la sua Argentina: così ha optato per il Kenya.

Ha creato una vera e propria accademia di basket, assieme a Tommaso Marino, altro giocatore professionista nella Blu Basket Treviglio. Nel frattempo è stato costruito un vero e proprio campetto da basket. I ragazzi sono giovani, i più grandi hanno tra i 10 e i 12 anni, ed è tutto impostato sul divertimento, ma allo stesso tempo ci sono serietà e impegno da parte loro.

Per dare continuità al progetto, ogni estate volano in Kenya, insieme a Michele Carrea, capo allenatore del settore giovanile di Casalpusterlengo, e a Giuseppe Di Paolo, vice coach a Chieti. In due settimane, formano dei nuovi allenatori, affinché possano garantire continuità al progetto e insegnare basket durante tutto il resto dell’anno.

Le loro sono lezioni tecniche, sui fondamentali, sulle regole e sui movimenti. Palleggio arresto e tiro, crossover e così via. Si forma una vera e propria accademia di basket. In più, quest’anno hanno potuto giocare finalmente su un vero e proprio campo da basket, totalmente autofinanziato. In questo modo si è creato un senso di appartenenza fortissimo a Slums Dunk, sia per i coach che per i giovani giocatori.

La gente comune e tante società di basket che hanno aderito al progetto, regalando tantissimo materiale tecnico. Penso alla Pallacanestro Varese, all’Olimpia Milano, a Brindisi, Chieti, a molte società che hanno fornito canestri, divise, palloni, scarpe. Poi c’è anche chi fa donazioni in denaro, per sostenere il progetto. Abbiamo recentemente iniziato a mettere in vendita le foto scattate sul posto, che possono essere acquistate tramite la pagina Facebook di Slums Dunk: il ricavato viene interamente devoluto al progetto.

Impazziscono di gioia, per loro è bellissimo. Prima di partire pensi di trovare tristezza, rassegnazione, ma non è così. In realtà trovi grande dignità, tantissimi sorrisi, un’accoglienza stupenda e bambini che ti cantano «How are you?». E pensare che in una baraccopoli di 1,5 chilometri quadrati vivono quasi centomila persone. Un luogo in cui l’igiene non è di casa, con baracche di latta ammassate l’una sull’altra, un fiume di immondizia che passa nel mezzo. Eppure ci accolgono con il sorriso, trovano la felicità nel nulla. Noi a loro diamo un’alternativa reale, tramite lo sport, per non lasciarli fuori a ciondolare per strada.

Bruno è una persona incredibile, di un’intelligenza e di una sensibilità fuori dal comune. Appena finita la stagione, lui non va in vacanza come tutti gli altri: la prima cosa che fa è partire per il Kenya e restare giù due settimane. Ma anche durante l’anno dedica tanto del suo tempo libero al progetto, perché ha capito in pieno la fortuna che gli è capitata diventando un giocatore professionista, e ha deciso di spendersi per chi di fortuna ne ha meno. Lo fa in silenzio, nell’ombra, portando avanti il nome di Slums Dunk e non quello di Bruno Cerella.

Si, e probabilmente se altri ne fossero al corrente si risparmierebbero tutti gli epiteti che gli riservano da quando ha cambiato maglia. Però ha ancora tanti amici a Varese, che ci hanno sostenuti durante tutta la diretta che abbiamo fatto per l’ultimo viaggio.

Ora la mia idea è quella di creare una mostra fotografica nelle tre città, a Varese, Milano e Siena, con gli scatti più suggestivi della nostra avventura in Kenya. Bruno per le foto mi ha dato carta bianca: ho voluto fare un racconto giorno dopo giorno di una realtà bella, ma allo stesso tempo dura e impegnativa. Intanto, siamo già al lavoro per il prossimo viaggio.

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