CASSANO MAGNAGO Quando un uomo sorride anche quando non vuole, quando parla con la voce convinta e guarda la gente fissa negli occhi, quando cammina per strada e tiene la testa alta, significa che quello è un uomo felice.
Lo sguardo di Ivan Basso, da qualche mese a questa parte, è fatto di luce. Una luce nuova, capace di fare la pace con il passato più brutto e di illuminare solo il futuro. Una luce che si è accesa di colpo, grazie a un interruttore trovato chissà dove: clic.
«Da qualche settimana ho ripreso a uscire in bici – racconta – riscoprendo sensazioni dimenticate. L’ho capito subito, dalla primissima pedalata: stava capitando qualcosa di diverso. Non mi sento già in forma, ci mancherebbe, quella dovrò misurarla più avanti quando mi troverò in gruppo: però è scattato qualcosa, qualcosa di nuovo».
I piedi nei pedali
Un ciclista lo sa: sa che a fare la differenza tra un Giro vinto e uno perso, tra uno Stelvio da dominatore e uno Stelvio da sconfitto, sono particolari piccoli. Come questi: «Ero in sella e mi sono accorto che stavo facendo esattamente quello che volevo fare, il piacere di pedalare con tutto il corpo collegato: testa, cuore e gambe. I piedi nei pedali e una sensazione bellissima: ora si ricomincia, per davvero».
Sensazioni nuove, la convinzione di avere ancora altre storie da raccontare e altri libri da scrivere: «Fino a qualche mese fa, soprattutto dopo il Giro perso, c’era un Ivan diverso: pedalavo, mi allenavo come una bestia perché volevo tornare a volare, ma pedalavo solo con le gambe. Partivo da casa e senza nemmeno accorgermene mi trovavo ad Arona: 30 chilometri a tutta, ma con il cervello scollegato. Quindi 30 chilometri inutili, perché la testa era chissà dove».
Andiamo indietro di qualche settimana, perché dev’esserci pur stato un momento preciso che ha permesso tutto questo. «Ho staccato tutto per un mese, mi sono preso del tempo per me: tranquillità, niente impegni istituzionali. Mi sono scoperto a guardare l’Ivan corridore in modo diverso: ho smesso di chiedermi perché sullo Stelvio è andata male, ho iniziato a chiedermi cosa avrei dovuto fare per cambiare il futuro».
Da solo, anzi no: «Non ho bisogno di psicologi, ma di persone che mi vogliono bene: gente che non mi racconta palle, che non mi dice bugie solo perché io sono Basso, che non hanno paura di dirmi quel che pensano. In faccia. Gente che non mi mente e alla quale io non posso mentire: parlo di mia moglie e di un pugno di amici sinceri».
Amici, ma anche compagni di squadra: «Sono reduce dal primo ritiro, nel quale sono successe cose meravigliose che mi lasciano terribilmente ottimista. Tutte le mattine, io e i miei compagni partivamo con cinque minuti di anticipo rispetto all’orario concordato: trenta corridori, che senza bisogno di accodarsi si trovavano prima dell’appuntamento. Da quando corro, una cosa del genere non mi era mai capitata: ed è una cosa che fa tutta la differenza del mondo. I direttori sportivi sanno che si possono fidare dei loro corridori e la mattina prima di una tappa importante basterà uno sguardo per capire che quella sarà una grande giornata».
Una squadra, unita dietro al suo leader: «Tutto sono capaci di parlare, pochi sono capaci di farsi ascoltare: io ho tenuto un discorso alla squadra, e dai loro occhi ho capito che ognuno di loro ha recepito le mie parole. Eravamo in birreria, tutti quanti: ho parlato dicendo cose semplici ma importanti, cose che servono per vincere. Poi, dopo un po’ mi sono alzato dal tavolo perché volevo andare a letto: senza che nessuno lo dicesse, subito dopo di me si sono alzati tutti quanti e tutti sono tornati in albergo».
Piccole cose, che fanno la differenza: «Siamo già una squadra, forgiata e plasmata da quello che io chiamo “spirito Liquigas”: il nome è cambiato, sono cambiate anche alcune persone, ma è rimasto quel modo di pensare e intendere il ciclismo che era proprio della Liquigas. Quel cuore batte ancora e con quel cuore andremo lontano».
Sogno rosa
Lui ancora non lo dice, ma il futuro è deciso: Ivan sarà al Giro. «Ho vinto due Giri, ho fatto due podi al Tour: credo di non dover dimostrare nulla. Il mio desiderio è un altro: voglio cercare di arricchire la bacheca dei sogni».
Ivan pensa di poter vincere, in rosa: «Ho iniziato a pensare di poter vincere di nuovo, nel momento esatto in cui ho smesso di pensare al motivo per cui avevo smesso di vincere».
Francesco Caielli
a.confalonieri
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