Cagliari, 8 feb. (Apcom) – Non è, come sostiene Veltroni, “la messa in crisi del sistema democratico”, ma è il sistema democratico, e la sua Carta fondamentale, ad essere in crisi. Silvio Berlusconi ‘gira’ l’attenzione dal caso Englaro al caso Costituzione dopo il non gradito intervento preventivo del Colle sull’azione del governo. Il riferimento è alla lettera di Napolitano. Una lettera considerata “pesante”, “irrituale”, e
a rischio di “precendente pericoloso”. Non avendo mai fatto mistero dei propri mal di pancia contro le liturgie parlamentari o contro le lentezze di un sistema bicamerale considerato utile “solo a far perdere tempo e denaro” allo Stato, Berlusconi questa volta alza il tiro e, sotto l’egida del mandato riformatore ricevuto dal voto popolare, promette, quasi annuncia, una profonda rivisitazione della Carta.
Credo che ci sarà un chiarimento”, spiega il premier lamentando
un’ingerenza sull’azione del governo “già così debole”, che ora
si trova a pagare un’ulteriore sindacabilità – addirittura
preventiva – sui propri atti legislativi. “Mi chiamano dittatore
– quasi ci scherza su Berlusconi – ma l’unico potere che ho è
quello di redigere l’ordine del giorno del Consiglio dei
ministri. E i miei ministri – aggiunge – li posso convincere solo
grazie alla mia autorevolezza”.
Mani legate, dunque, e ora – dopo il caso Englaro – anche la bocca chiusa? Berlusconi non ci sta e denuncia “l’ipotesi di una prassi che fa intervenire il presidente della Repubblica addirittura prima che si prendono le decisioni”. Prassi e “pericoloso precedente” che, è il ragionamento del premier, se non fosse “inquietante”, “farebbe ridere”. Come ridere, se non peggio, fa
la “stratificazione” nella scaletta autorizzativa di una legge che vede assegnare al Quirinale la verifica dei requisiti di necessità e urgenza di un decreto per la quale, secondo Berlusconi, basterebbe la responsabilità del governo e, in seconda e ultima battuta, la “vidimazione” della commissione Affari costituzionali che è “il primo passaggio obbligato per ogni provvedimento che approda in Parlamento”.
E se dunque al governo viene tolta anche la possibilità di
legiferare con uno strumento – il decreto – previsto
dall’ordinamento “alla fine può anche andarsene a casa…”.
Un’ipotesi, questa, che il premier butta là più che altro come
una provocazione anche perché, tra le righe, non solo traccia il
percorso di riforma della Costituzione (“rifletteremo e vedremo,
ma le riforme sono necessarie”), ma lo motiva anche addebitando
alla Carta sia motivi ‘anagrafici’ – “è una legge fatta molti
anni fa e sotto l’influenza della fine di una dittatura” – sia
questioni politiche che vogliono, nelle parole di Berlusconi, i
padri costituenti “ideologizzati” e troppo votati a “prendere
come modello la Costituzione sovietica”.
Dura la replica del segretario del Pd, Walter
Veltroni: “Berlusconi – afferma Veltroni- dimentica di aver
giurato fedeltà alla Costituzione italiana. La Costituzione è
nata grazie al sacrificio di milioni di italiani che
contrastarono chi aveva cancellato il ruolo del Parlamento e
messo gli oppositori in condizione di non poter esprimere le
proprie idee. Berlusconi si deve inchinare davanti alla
Costituzione e davanti al sacrificio di quegli italiani.
Cep
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