«Bisogna accogliere chi ha bisogno e non selezionare in base all’etnia»

Don Marco Casale, responsabile Caritas decanale, riflette su un tema d’attualità. «Ospitarli è giusto, mai demonizzare. Ma chi è senza requisiti deve essere espulso»

– «La misura dell’accoglienza è il bisogno reale»: così don responsabile della Caritas decanale di Varese, riflette sull’appello delle Caritas delle Diocesi lombarde – attualmente impegnate a gestire più di duemila tra profughi e richiedenti asilo – che in un documento spiegano il loro impegno su questo tema e cosa sia necessario attivare per una reale accoglienza.Un testo che mira «a dire

no a una certa retorica politica immorale», alle illusioni, ma punta alle aperture sollecitando le parrocchie affinché mettano a disposizione spazi per l’accoglienza dei migranti.«La proposta è equilibrata – dice don Marco – Da una parte è scorretto demonizzare il tema dell’accoglienza, dall’altra si chiede che per chi è senza requisiti si possa dare seguito a espulsione, facendoli ritornare nei rispettivi Paesi».

Una posizione equilibrata perché «non strumentalizza il tema per aver consensi e cerca di entrare nel merito. Non è possibile evitare di parlare di migranti, nessun Paese lo fa».
Il documento cerca di uscire da posizioni estremiste «per entrare nel merito della questione. Ne ho un riscontro personale. Quando una persona non ha titolo di restare sul territorio italiano, non si capisce perchè debba permanere. Questo fa riferimento a leggi farraginose con applicazione non puntuale e può far crescere la percezione dell’impunità, di un mancato rispetto delle regole, ma questo non va attribuito al migrante in quanto tale».
Una considerazione che don Casale fa anche da cappellano dei Miogni a Varese. «L’idea di molti sulle carceri è ferma agli anni ’90 o ai primi del 2000, quando la percentuale di stranieri era attorno 60/70 cento, mentre oggi la popolazione non italiana è meno della metà».
«Ogni volta che do questo dato vedo sorpresa perché non è stata adeguata l’informazione ai dati odierni. In più va detto che l’Italia, rispetto ad altri Paesi, ha un minor flusso migratorio di persone che si stabiliscono nel Paese. E una nazione di transito rispetto ai flussi migratori e in percentuale accogliamo meno di Spagna, Germania o Francia. Forse siamo meno attrattivi per le poche possibilità di lavoro che offriamo».
Per quanto riguarda la capacità di accoglienza «credo che abbiamo davvero delle esperienze positive, come gli spazi messi a disposizione da alcune parrocchie».
«Da una parte lo stabile a Casbeno per i richiedenti asilo e la casa per accoglienza dei senza dimora. E ancora realtà come la comunità Santa Margherita con appartamenti per la semi-autonomia che accolgono sia donne sole, sia donne con figli e anche qui la metà sono italiane. Sempre per i senza dimora, Lissago ha dato due appartamenti la parrocchia di San Carlo uno stabile e si sta attrezzando per ampliare l’offerta».

Da questo punto di vista, quindi, le parrocchie di Varese non sono state a guardare, ma continuano e intensificano un lavoro già avviato.
«Penso che queste esperienze dicano che il problema non è “noi o loro”, perché si parla di persone con cittadinanza italiana o con regolare permesso di soggiorno. Anche il fatto di accogliere connazionali e stranieri dice che: la misura dell’accoglienza è il bisogno reale, il criterio giusto non può essere l’etnia».