«Cucinare è un atto d’amore, lo si fa per qualcuno. Anche se si cucina per noi stessi».
Ovazioni come solo a un concerto e selfie con lui a go-go per , chef di fama internazionale, noto anche per le numerose trasmissioni televisive da protagonista negli ultimi dieci anni, ieri mattina docente d’eccezione per gli studenti dell’istituto alberghiero Falcone di Gallarate, all’interno del progetto “Food Design Expo 2015”.
Progetto che, coordinato dalla docente , da mesi impegna i ragazzi dell’ultimo biennio dei tre indirizzi della scuola in corsi extracurricolari con esperti di psicologia, analisi sensoriale, cucina molecolare, fotografia, storia dell’arte, laboratori pratici e, naturalmente, visto il tema, design del cibo, sino a portarli a essere selezionati, con un bando regionale, proprio per creare una cena di food design per Expo, che verrà ambientata in un mulino settecentesco nel Parco del Ticino.
Capace di coinvolgere i ragazzi con le sue parole e il suo modo di fare (ha anche chiesto ad alcuni di loro come cucinano una cacio e pepe, perché «i piatti più semplici sono i più difficili da fare»), Alessandro Borghese è partito dai suoi esordi: «Ho iniziato a cucinare circa vent’anni fa, a 17 anni, un po’ per gioco», decidendo di andare a lavorare su una nave da crociera. «Allora non c’erano strutture – racconta – si andava a bordo delle navi. Ma è una formazione importante, perché insegna a lavorare in gruppo».
E perché, per diventare un bravo cuoco, servono «gavetta e passione», oltre a «fare bene la scuola alberghiera e a studiare una lingua come l’inglese. Conoscere le lingue, in questo lavoro, è importante tanto quanto cucinare bene».
E ben vengano anche i tanti programmi di cucina, se permettono di conoscere il prodotto italiano, «eccellenza che ci invidia tutto il mondo». Perché «il cuoco fa il 10%, il 90% lo fa la materia prima e chi la produce: gli agricoltori, gli allevatori, i pescatori…».
Ben venga il boom dell’interesse anche mediatico per la cucina, se dà «visibilità a tanti giovani», se fa «uscire i cuochi dalle cucine per promuovere l’italianità». Tenendo presente che «dovete conoscere il vostro territorio e i suoi prodotti – ha rimarcato lo chef – perché senza tradizione non c’è innovazione».
E un complimento va alla struttura del Falcone: «Siete fortunati a poter lavorare con attrezzature del genere. C’è molta richiesta di cuochi e personale di sala italiano anche per l’estero. Purtroppo a volte in Italia mancano le strutture e i docenti d’eccellenza per formare i cuochi del futuro». Per un mestiere «che non finisce mai, perché c’è sempre qualcuno che ha qualcosa da insegnarti».
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