I grandi non sono quelli che costruiscono muri insormontabili davanti ai loro orticelli,né persone ripiegate solo su se stesse e sulla loro realtà. Al contrario, hanno l’intelligenza per guardare oltre, cercando il confronto che arricchisce e fa crescere.
Anche per questo Francesco Testa è un grande: lo chef della Tana dell’Orso di Mustonate continua a coinvolgere i suoi colleghi della rubrica Cucinando e, dopo aver invitato tutti i cuochi del territorio a fare squadra, presentando l’ambizioso progetto di Varese Cooking, ora ci presenta Claudio Moroni, fiduciario di Slow Food in provincia. Dal loro dialogo sono uscite considerazioni illuminanti.
Abbiamo già avuto modo di approfondire temi legati a Slow Food e, questa volta, possiamo farlo in compagnia del responsabile della condotta di Varese, Claudio Moroni con cui ci soffermeremo a parlare di pesce. Ma di quello buono, pulito e giusto, vero Claudio?
«Certo, questi aggettivi sono un po’ i colori della bandiera di Slow Food, che ha sviluppato un concetto di qualità alimentare declinato in funzione di tre criteri fondamentali e interdipendenti: “buono” si riferisce ad alimenti freschi, gustosi e di stagione, che soddisfino i sensi e si riallaccino alla nostra cultura e identità locale; “pulito” si riferisce ai metodi di produzione rispettosi dell’ambiente e della salute umana; “giusto” ai prezzi accessibili per i consumatori, ma anche ai guadagni equi per i piccoli produttori, che garantiscano condizioni di lavoro e di vita dignitose».
Se Slow Food è conosciutissimo, non tutti forse sanno che esiste anche Slow Fish, il cui sito Internet parla di pesce a tutto tondo, offrendo consigli utili di cui spesso ci dimentichiamo. È così, Claudio? «Confermo, e parto dalla stagionalità che non sempre è tenuta in considerazione perché sui banconi di molte pescherie si trovano pesci di ogni specie per tutto l’anno. In realtà, come accade per la frutta e per la verdura, ogni pesce ha la sua stagione».
Uno dei motti di Slow Fish suona cosi: «Palamita d’inverno, sgombro a primavera, sugarello d’estate, alalunga d’autunno: ogni pesce ha la sua stagione, imparala».
A luglio ci sono l’aguglia imperiale, l’acciuga, il gambero rosa e quello rosso, la lampuga, il luccio, la menola, il muggine, il dentice, il nasello, l’orata, il pagello fragolino, il pesce sciabola, il serra e il pilota, la ricciola, la sardina, lo sgombro, gli scampi, la sogliola, la spigola, il tombarello, il tonno alletterato, la triglia, gli occhi verdi, la costardella e il cicerello. Senza contare i tanti pesci dei nostri laghi che sono una straordinaria risorsa territoriale.
So che Moroni è un sostenitore del pesce di lago. «È vero e sostengo che sia un un pesce da rivalutare che garantisce freschezza perché abbiamo la garanzia del pescato del giorno andando dai piccoli produttori». Come Giuseppe del Torchio che a Travedona porta quotidianamente pesce freschissimo, garantendo il massimo rispetto della stagionalità, e lo cucina su prenotazione.
Mai fermarsi alla superficie: «Ad esempio, al di là dell’occhio lucido e della pelle che non si squama dobbiamo porci tante altre domande davanti a un pesce che dovrebbe avere la stessa tracciabilità della carne ed essere accompagnato da una etichetta esaustiva».
A proposito di allevamenti, uno dei pesci meno sostenibili è il salmone: da cibo di lusso riservato alle grandi festività, è diventato disponibile in tutte le stagioni. «Gli stock di salmone selvaggio dell’Atlantico sono ormai ridotti a livelli pericolosamente bassi. Le cause sono molteplici: la sovrappesca, l’inquinamento, i cambiamenti ambientali, l’acquacoltura, il deterioramento degli habitat e le perturbazioni delle vie migratorie. L’allevamento rappresenta una misera alternativa, considerate le conseguenze che ha sull’ambiente. Gli impianti di itticoltura rigettano cibo non consumato, una massa di escrementi e molto spesso anche pesticidi e antibiotici direttamente negli oceani, inquinando le acque. I parassiti e le malattie dei salmoni allevati si possono trasmettere a quelli selvaggi, minacciando così le popolazioni. Inoltre, le enormi quantità di pesci selvaggi necessarie a nutrire i salmoni d’allevamento (ci vogliono tra i 2,5 kg e i 5 kg di pesce selvaggio per produrre 1 kg di salmone allevato) significano che l’acquacoltura consuma più pesce di quanto ne produca, fattore che aggrava ancora di più la pressione sulle specie libere».
L’alternativa per chi non vuole rinunciare al salmone? L’acquario Monterey Bay (California, Usa) consiglia, per esempio, il salmone selvaggio dell’Alaska.
Si possono riscoprire altri pesci come la trota: filettatene due e mettetele in una pirofila con la polpa verso l’alto, marinate con 3 cucchiai di sale, 2 di zucchero, 4 chiodi di garofano, 1 cucchiaio di paprika dolce, 1 pizzico di noce moscata, 1 pizzico di cannella. Coprite i filetti con il composto, unite bacche di pepe rosa e semi di finocchio, bagnate con la vodka e lasciate riposare per 48 ore.
Dopo la macerazione sciacquate i filetti sotto l’acqua e tagliate finemente a carpaccio prima di servire.
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