BUSTO ARSIZIO La zona industriale mostra il volto della ripresa dell’attività a settembre. Lenta, tra cali degli ordini e chi invece resiste. Ma anche con tanta voglia di lottare.
A Busto – città da dove partiamo per la nostra inchiesta – le strade della cittadella produttiva sono poco trafficate. I servizi per i lavoratori scarseggiano: per trovare un bar aperto ci siamo dovuti spostare a Bienate, al confine con il rione di Sacconago. Qui, in pausa pranzo, troviamo due dipendenti di un’azienda che si occupa di smaltimento rifiuti industriali, Fabrizio Marta e Paolo Lanziani. Hanno ordinato un panino: «Ci occupiamo dell’area commerciale – ci dice Marta – e chi meglio di noi ha il sentore della crisi: se le aziende non producono, non smaltiscono e noi, negli ultimi due anni, abbiamo registrato un calo degli ordini tra il 30 e 40 per cento. Siamo l’ultimo anello della catena ma il primo a sentire la crisi. Ci vorrà ancora un anno e mezzo per una stabilizzazione del mercato».
Una crisi che colpisce anche le attività locali: «Anche qui in zona tante aziende hanno fatto ricorso alla cassa integrazione – fanno sapere i lavoratori – non abbiamo il sentore di chiusure definitive ma la situazione è difficile un po’ per tutti».
A soffrire di più, sono il settore metalmeccanico e tessile. In via Baden Powell il capannone della storica aziende di calze Ibicì è ancora vuoto con il cartello “affittasi” esposto. Ma c’è anche chi costruisce.
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m.lualdi
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