VARESE Marco, lo chiameremo così, è un ragazzo che gioca nei Giovanissimi del Varese. Tutte le settimane è costretto a girare per tutta la provincia a caccia di un campaccio sul quale allenarsi, sparandosi trasferimenti chilometrici e sopportando spogliatoi malconci e docce fredde. La situazione di Marco è la situazione di tutti i figli del Varese, quelli che dalla Scuola Calcio fino alla Primavera si vestono di biancorosso e tirano calci a un pallone sognando di diventare come Corti o Pisano.
Ed è una situazione inaccettabile: a partire dai bambini di Caccianiga che si pestano i piedi nel campetto di fronte alle tribune, fino ai ragazzi della Beretti che si allenano in quello spiazzo di sabbia di fianco allo stadio che loro hanno ribattezzato “Copacabana”. Perché pare di giocare su una spiaggia. Perché una società si consolidi e metta le radici in una categoria come la serie B, è indispensabile che si doti e metta a disposizione dei suoi giocatori le strutture adeguate. Il Varese, che in serie B vuole restare per i prossimi cent’anni, queste strutture non ce le ha.
C’è una soluzione, che sta a metà strada tra un sogno irrealizzabile e qualcosa che invece si può realizzare con un po’ di buona volontà. Lo spazio di fianco allo stadio, il “Copacabana”, quel campo su cui si allenava il Varese di Liedholm, può essere trasformato in un terreno sintetico moderno e funzionale, che risolverebbe tutti i problemi di spazi e strutture del settore giovanile biancorosso.
Cosa serve? Due cose: la volontà del comune (che potrà concedere gli spazi e dare l’assenso ai lavori), la decisione della società (che dovrà scegliere di investire trovando le risorse per dotarsi di una struttura all’avanguardia). Tutto qui? Tutto qui. In comune hanno più volte sottolineato la loro apertura a interventi e investimenti sulle strutture, a patto che abbiano la copertura finanziaria (con il PalaWhirlpool è andata esattamente così). In società hanno tutto l’interesse a fare un passo così, capace di proiettare il Varese tra le società più lungimiranti del panorama calcistico e di scrivere il nome del patron Rosati accanto a quelli dei presidenti indimenticabili.
Marco Caccianiga, papà della Scuola Calcio, è con noi: «Sono le società – dice – a doversi muovere in tal senso: perché i comuni non hanno soldi da investire, ma sono felicissimi quando qualcuno arriva con dei progetti seri e dei soldi. Quindi, la mossa spetta al Varese. C’è il campaccio di sabbia dell’antistadio che potrebbe essere trasformato in un campo sintetico: lo sfrutterebbero tutte le giovanili, e noi della Scuola Calcio vedremmo risolversi tutti i problemi di spazio perché utilizzeremmo quel campo a undici come se fossero tre campi per i miei bimbi». E le idee del vulcanico Caccia non finiscono qui: «A Villa Baragiola, l’ex Seminario di Masnago, c’è un campo a sette completo di porte che attualmente è inutilizzato. Se il Varese chiedesse al comune la possibilità di coprirlo con un terreno sintetico, gli direbbero subito di sì: e un campo a sette in più ci cambierebbe la vita».
Il problema sono i soldi: «Purtroppo l’onere degli interventi tocca alle società: ci vorrebbe la volontà di investire sulle strutture, ci vorrebbe un benefattore che decida di finanziare tutto. Io, per quanto mi riguarda, tutte le settimane gioco al Superenalotto: se vinco, non emigro in qualche isola sperduta e non cambio vita. Ma compro il Varese: giuro».
Gli fa eco Giorgio Scapini, responsabile del settore giovanile biancorosso: «La situazione è difficile. La Primavera si allena ad Albizzate e gioca a Gavirate, i Berretti si allenano al “Copacabana” e giocano a Venegono, gli Allievi Nazionali si allenano al Bosto e giocano a Ispra mentre i Regionali giocano a Induno, i Giovanissimi si allenano a Calcinate e giocano a Besnate. In due anni con la mia macchina ho fatto novantamila chilometri. Organizzare tutto è un’impresa ciclopica».
Francesco Caielli
a.confalonieri
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