BUSTO ARSIZIO Dalle gambe di Raffaella Carrà ai dipendenti in presidio fuori dai cancelli: la parabola dell’Ibici, la Ferrari delle calze, il marchio che ha portato Busto nel mondo e che oggi rischia di sparire. Una storia di successo made in Busto che non può finire nel dimenticatoio, macchiata dalle ultime traversie culminate con la chiusura dello stabilimento di via Baden Powell. «Una grande famiglia – per chi in quell’azienda ci ha passato una vita – dove ciascun dipendente, come alla Ferrari, sentiva l’orgoglio e l’attaccamento al marchio dando il massimo».
Attaccamento dimostrato dalla battaglia dei dipendenti rimasti, gli ultimi figli di una storia gloriosa. Nata negli anni ’50 lavorando per conto terzi, il salto di qualità arriva nel decennio successivo, da un’intuizione dell’amministratore delegato Saverio Mayer, personaggio autorevole e carismatico: “sdoganare” la calza riposante e contenitiva da prodotto terapeutico ad accessorio quotidiano, indossabile dalle donne senza essere antiestetico. Sono gli anni delle sedi di via Busona e largo Ticino e quelli del mitico “modello Carrà”, una linea di calzemaglia disegnate apposta per i balletti della showgirl di Canzonissima.
Le calze Ibici sugli schermi in bianco e nero non si notavano ma erano pensate per valorizzare le gambe, allora da scandalo, di Raffaella Carrà, tanto che Mayer conservava come un prezioso cimelio una lettera autografa della showgirl. Elastiche e resistenti, le calze Ibici fanno epoca e diventano un punto di riferimento, sia per la qualità di un prodotto d’avanguardia frutto di investimenti in ricerca di laboratorio e innovazione, sia per la filosofia improntata al rapporto con il cliente, fino alla personalizzazione per soddisfare le esigenze del singolo. Il boom negli anni ’80: si moltiplicano le sedi, i dipendenti arrivano a quasi 400 unità, il campionario fino a 20 mila varianti e il fatturato impenna a 56 miliardi di lire.
Il marchio Ibici va a gonfie vele con il brand Segreta che è ormai sinonimo di calza riposante: l’apice si ha con la penetrazione nei mercati esteri e con la produzione di calze riposanti per le aziende top del settore farmaceutico. All’avanguardia anche la gestione del personale. Il rapporto con la città si rinsalda grazie alla felice epopea dell’Antoniana Basket sponsorizzata Ibici. Ma quando Mayer va in pensione e Sarfati si dedica meno alla conduzione, inizia il declino. Sono gli anni ’90, quelli in cui Ibici prova a rincorrere la concorrenza sulla quantità (si rende necessario il trasferimento in unica sede in zona industriale), perdendo per strada la propria identità, la nicchia delle calze riposanti pian piano occupata da altre aziende che sull’asse tra Tradate e Novara formano un mini-distretto. Nel 2003 Sarfati torna con l’obiettivo di rimetterla in sesto, sana e ben organizzata, per venderla. Il resto è storia di questi giorni.
Andrea Aliverti
m.lualdi
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