Caso Uva, la perizia del tribunale «Collasso dovuto a stress e alcol»

VARESE Giuseppe Uva è morto a causa di una tragica fatalità. Una fatalità di cui né i medici che lo ebbero in cura nell’ultima notte della sua vita, né i carabinieri della caserma di via Saffi che lo fermarono, hanno alcuna responsabilità.
È la conclusione alla quale sono giunti i tre esperti nominati dal giudice Orazio Muscato per esaminare il cadavere dell’artigiano morto a 43 anni il 14 giugno del 2008.
Secondo i medici “super partes”, l’edema

polmonare che ha causato il decesso ha come origine il prolasso della valvola mitralica (la vittima aveva una malformazione cardiaca). Mentre gli elementi che hanno scatenato la crisi fatale (il cosiddetto “trigger”) sarebbero l’intossicazione alcolica acuta (quando Uva arrivò al Circolo aveva un tasso alcolemico pari a 1,6 grammi per litro) e l’intenso stato di stress a cui era stato sottoposto.
Un’eccitazione psico-motoria, spiegano i medici, provocata proprio dall’intossicazione etilica, ma anche dalle misure di contenzione fisica applicate (quando giunse in ospedale per il trattamento sanitario obbligatorio), nonché da traumi «auto ed etero indotti». Traumi che, ad ogni modo, erano di lieve entità.
I periti fanno luce anche sulla vasta macchia di sangue che impregna il cavallo e la parte posteriore dei pantaloni indossati da Uva quando arrivò al Circolo. Sangue che, è stato accertato, proveniva dall’ano della vittima. Uva, però, soffriva di «emorroidi prolassate di grandi dimensioni (…) la cui rottura spontanea è altamente probabile e idonea a causare perdite ematiche fino a un litro».

e.romano

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