Castiglioni: “Basket? Ho chiuso Con il Varese e Rosati invece…”

VARESE Claudio Castiglioni che sbarca nel calcio biancorosso è una notizia. «Ah sì? Lo sarebbe – si schermisce – se mi occupassi di Sassuolo o Pro Vercelli: è la squadra della mia città, che c’è di strano?».

Dopo tanti anni di basket e un periodo sabbatico, un po’ sorprende e un po’ fa piacere.
L’amicizia con Rosati risale a tempi non sospetti. Ero presidente della Pallacanestro Varese e lui non era ancora in serie B: bastò scambiare poche parole al bar Tiffany di via Sempione, sotto la sede del Varese, per scoprire che su tante cose la pensavamo allo stesso modo. Feeling istantaneo, senza entrare nei dettagli dei rispettivi club se non con qualche battuta, per sdrammatizzare.

Poi ha mollato il basket.
E ho cominciato ad andare allo stadio. Mi sono trovato bene, mi diverto: quest’anno ho bigiato una sola partita.

Abbonato?
No, scavalco i cancelli. Seriamente: mi invitano, ma ci andrei lo stesso.

Perché?
Non frequento spogliatoi e aree tecniche, in tribuna mi godo il gioco, non cerco pettegolezzi. Mi piace l’ambiente: easy, positivo, simpatico. Al Franco Ossola non vedo le stesse facce del palazzetto.

E i giocatori?
Non se la tirano: sono disponibili, non blindati. Incontrandoli al Palace, nei ritiri o per il calendario con i disabili, ho scoperto persone semplici e vere. Sarà che c’è crisi e girano meno soldi, ma i calciatori qui sono più umani.

Insomma, colpo di fulmine.
No, lucida passione. Ho quarant’anni, do valore al mio tempo, cerco di sfruttare bene quello libero facendo cose che mi appagano. E poi allo stadio torno bambino.

Cioè?
Giocavo a pallone all’oratorio di Biumo Inferiore, sono juventino da sempre. Ho fatto più gol che canestri: giusto un anno di minibasket alla Rainoldi. Poi è scoppiato l’amore per i motori.

Nel Varese per…?
Al momento, per dare qualcosa come tifoso e innamorato della città, senza badare a un ritorno economico che nello sport non c’è. Comincia così, alla chetichella: in futuro chissà, tutto potrà succedere. Da cosa nasce cosa: non escludo niente, salvo investimenti fatti di corsa e per forza. Se sarà, avverrà per inerzia, com’è sempre stato con Rosati: semplicità e spontaneità sono il fil rouge del nostro rapporto. Idee spuntate tra una chiacchierata e una risata sono diventate realtà.

Tipo la vip lounge dello stadio o il Palace.
Il Palace ormai è la casa del Varese. Ospitiamo i ritiri, gli eventi, il campo estivo per i bambini. Bellissimo avere settanta pargoli ogni giorno a giocare nel parco: ho visto contenti loro e i genitori. Quando ho cominciato a gestirlo, sedici anni fa, il Palace aveva nomea di albergo di lusso per ricchi: sono riuscito a farne un luogo accessibile alle famiglie, adeguandolo al mercato. Sta per compiere cent’anni, è un nonno che sta bene e accoglie tutti: nei festeggiamenti coinvolgeremo anche il Varese.

Ma il basket?
Capitolo chiuso. Ci abbiamo messo un sacco di soldi, ce li mettiamo ancora con una robusta sponsorizzazione, ma questo sarà l’ultimo anno. La Pallacanestro Varese è stata una parentesi bella, fatta di domeniche felici e altre a incazzarsi: però ormai fa parte del passato.

Vi siete sentiti trattati in modo ingeneroso dalla gente?
Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Il tempo darà il giusto peso alle cose, e magari rivaluterà la nostra gestione. Rivendico di aver fatto le scelte che ritenevo giuste, in buona fede, e di aver dato il massimo, contro superpotenze economiche come Bologna, Treviso, Siena.

Se tornasse indietro?
Non manderei via Magnano. La sua ultima stagione qui è stata la più emozionante: quella squadra diede molto più di quanto valeva. Ritenemmo chiuso il ciclo, l’alternativa era cambiare allenatore o cambiare tre quarti dell’organico: imboccammo la prima strada e sbagliammo. Qualche giocatore esperto, poi, ci mise del suo. Però, pur tra tanti errori, non meritavamo di retrocedere. Con Ruben mi sento ancora, grande persona.

La Cimberio è imbattuta e sogna.
Sono contento, ma non salgo sul carro dei vincitori. Ripeto, storia chiusa: al palasport non vado da un pezzo.

Anche voi vi sentivate soli al comando, come Rosati.
Giusto dire che gli imprenditori locali dovrebbero finanziare, ma non li si può obbligare. La gratitudine alla città non è virtuosa senza la passione specifica. La ricerca del do ut des alla lunga non funziona.

Il Varese tira?
Certo: lo sport è un veicolo promozionale straordinario, tanto più il calcio. Un campionato ben organizzato come la B è un prodotto vendibile, di valore.

Il suo giocatore preferito?
Neto Pereira: fuoriclasse che fa sembrare facili le cose difficili. Peccato che sia molto fragile.

Chi le ricorda, nel basket?
Pozzecco: anche guardando lui all’uomo comune pareva di poter fare qualunque cosa. Sotto la maschera goliardica c’è un uomo intelligente: se avrà l’umiltà di imparare dagli errori che inevitabilmente farà, sarà un grande allenatore. Il carisma ce l’ha. E magari si piglierà pure qualche asciugamano in faccia…

Stefano Affolti

a.confalonieri

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