«Cecco, addio strano. Poz tieni un profilo basso»

Il grande ex degli anni ’80 e ’90: «Noi eravamo attaccati alla maglia, i giocatori di adesso chissà. Vescovi gigante biancorosso: ha davvero deciso da solo? Qualcuno spieghi dov’è finito il vivaio»

Dove eravamo rimasti? A una settimana di distanza da quella che passerà ai secoli come la “rivoluzione di febbraio” della piccola storia cestistica varesina, i dubbi della mente – ben più di quelli del cuore – non sono ancora stati completamente saziati.

Parte dei residui li poniamo a Riccardo Caneva, bandiera di Varese a cavallo di tre decenni, portatore sano delle stigmate biancorosse ma ora esterno all’ambiente. La sua opinione possiede quindi quel mix di amore e distacco perfetto per il contesto. La premessa, «mi sono un po’ allontanato da uno sport che non mi piace più tanto», non fa che confermarlo.

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A me sono sembrate molto strane, perché si tratta di un pezzo di storia nato e cresciuto qui, anche come dirigente. È possibile che abbia voluto dare una scossa ma, ripeto, conoscendo il suo carattere tutto questo mi suona parecchio strano.

Avrà preso questa decisione da solo, mi domando? Parliamo di una persona che non si è mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno e quindi spero che abbia fatto la scelta di sua spontanea volontà…

Davanti a Vescovi ce ne sono pochi nella storia, e mi riferisco solo a ciò che ha fatto in giacca e cravatta: penso a Borghi, ai Bulgheroni e poi basta. Ha salvato la società con il consorzio, è arrivato a un passo da una finale scudetto e ha mantenuto sempre i conti in regola. Fossi stato in lui, l’estate scorsa avrei cercato di tenere gli italiani Polonara e De Nicolao, ma è solo un piccolo appunto. In ogni caso, a Varese viene meno una persona attaccata alla maglia come nessuno.

Le sue dimissioni sono semplicemente la conseguenza di quelle di Vescovi. In stagioni come queste si sgretola tutto e vengono fuori le magagne.

Vista la situazione delicata… è consigliabile che si faccia un po’ i fatti suoi. L’ho incontrato pochi giorni dopo l’addio e mi ha parlato di un possibile incarico nel settore giovanile: se sia cambiato qualcosa da allora, non lo so. Bisogna essere dentro le cose per giudicare, magari ci sono anche problemi di contratti con lui.

Anche a me è accaduto di retrocedere (il “famoso” 1992, ndr) e c’è effettivamente il rischio che la storia si ripeta. Quella Ranger, però, almeno lottò fino alla fine. Ora, da quello che leggo sui giornali o sento dai tifosi, i giocatori sono tutti molto tranquilli: non c’è più il rispetto di una volta per la maglia. Ed è probabilmente normale che sia così, visto che si parla di atleti che rimangono qui per poco più di sei mesi.

Leggerlo mi ha riportato a sensazioni che avevo un po’ perso, perché risalgono davvero agli inizi della mia storia. Confesso, complice forse l’età, di essermi emozionato. E c’è una cosa che vorrei sottolineare: tra le righe si fanno i nomi di tanti giocatori del vivaio che crescendo hanno fatto un’ottima carriera, anche in serie A. Dov’è il settore giovanile oggi? Perché non lo si cura di più?.