«Con le persone di cuore succedono i miracoli»

Gabriele Ciavarrella si gode il primo giorno della “sua” creatura. La gioia di Luca Alfano: «Essere qui per me significa essere vivo». E il prato di Masnago è bellissimo, grazie alle cure di Vanoni

I bambini non si lavano con l’acqua sporca. E il primo bagnetto del Varese è stato limpido, pulito, cristallino. Strane e incontrollabili vibrazioni nell’aria al Franco Ossola ieri mattina. Di felicità, di gioia? Difficile da definirle: certe parole mancano al vocabolario, come a un uomo solo manca la metà che lo completi.

E forse è proprio una questione di cuore a fare la differenza in tutto ciò. Forse, a descrivere cosa si provava ad essere lì a guardare il primo sorriso sdentato del Varese, e ad ascoltare il suo primo vagito, nessun’altro avrebbe potuto far meglio di Luca Alfano: «Vedete come il sole splende alto, orgoglioso, caldo su di noi? Sembra magico. Ora guardate questo campo», ci dice con un sorriso che si intravede da dietro la mascherina, e con quegli occhi lucidi di un misto di felicità e orgoglio che parlano da soli, che riescono a raccontare un intero mondo da dietro quegli occhiali da sole con stampata sopra la scritta “Carrrico”.
Luca ce lo dice mentre indica l’erba sotto le ruote della sua carrozzina: «Vedete quest’erba com’è? Stupenda, non vi pare? Fresca, giovane, perfetta, rigogliosa. Il Varese è racchiuso tutto nel verde di questo prato».
Già, quel prato che è stato curato, accudito, coccolato come un figlio da Vanoni in questi mesi quando c’era solo il nulla, quello più profondo e assoluto. Un vuoto in cui pure la speranza di vederla calpestata ancora una volta quell’erba, pareva lontana e irraggiungibile. Una chimera, un’utopia folle. E ora, invece, quel campo stesso è un esempio per tutta Italia di come si fanno le cose: con professionalità e amore. «Giovanni Castelli, l’agronomo della Figc – racconta Enzo Rosa pieno d’orgoglio – lo ha definito come un esempio di campo con erba naturale, ideale per il calcio».
E il Varese ieri era l’espressione di tutto ciò. Duecento tifosi a guardarselo, a goderselo, a viverselo dal profondo dell’anima seduti su quella tribuna. Con gli occhi di chi sta ammirando la cosa più bella, la cosa più preziosa. Una cosa che è tutta loro, perché è nata da tutti loro. Commoventi, strepitosi, incredibili: duecento persone un’unica cosa.

Francesco Zecchini, uno di loro, indossava una maglietta di due anni fa. Quando qualcuno gli ha fatto notare che ormai era vecchia, che quel logo e quella società ormai erano la storia passata, lui ha risposto perentorio: «Questa è la maglia con cui si vinse a Novara: l’ultimo bel ricordo che ho del Varese, la porto oggi perché possa vivere altri momenti così».E momenti così arriveranno, ne siamo sicuri. Perché anche solo passando distrattamente davanti al Franco Ossola, ci si accorgeva che all’interno stava succedendo qualcosa di magico, ieri. Bastava vedere tutte quelle macchine parcheggiate lì avanti: un plotone di ferro, pronto a riprendersi tutto ciò che gli è stato strappato via ingiustamente. Ed ora, quel plotone, è tornato dagli inferi per un solo ed unico motivo: perché, per usare le parole del presidente Gabriele Ciavarrella, «Quando si muovono le persone col cuore, succedono i miracoli».