GALLARATE «La storia non insegna niente. Poco è cambiato dal 1941. Soprattutto per quanto riguarda la propaganda e le informazioni distorte. Ma in un paese “in ritirata” come l’Italia, credo ci sia bisogno di storie come queste, che parlino di coraggio e solidarietà». L’apprezzato cantautore e autore, Simone Cristicchi, sfodera imprevedibili doti di attore naturale. E lo fa con “Li romani in Russia”. Di scena stasera alle 21 al teatro Condominio di Gallarate (infoline: 337/50.23.62).E né Cristicchi, né Alessandro Benvenuti – regista dello spettacolo – hanno bisogno di presentazioni. Ma qui, entrambi, e in vesti insolite, si mettono al servizio di un monologo tratto dall’omonimo poema di un grande poeta romanesco, Elia Marcelli (uno tra i pochi reduci che fecero ritorno da quel crudele massacro) che coniuga all’importanza della materia trattata, le suggestioni della forma scelta (l’ottava classica) e della lingua, il dialetto romanesco. Il noto cantautore, per la prima volta, da solo sul palco, interpreta una nutrita schiera di personaggi grotteschi e dolorosi, testimoni disarmanti del più drammatico momento vissuto dall’esercito italiano nella seconda guerra mondiale: la Campagna in Russia.Con espressività vivace e incalzante per ritrarre momenti che per troppo tempo è stato semplicemente più facile zittire, e con buona pace di chi ha
poi perso per sempre quei giovani soldati, e assieme a loro la fiducia nel futuro, la serenità, e a lungo non ha voluto lasciar andare la speranza di vederli tornare. Una generazione intera di giovani mandati in Russia con armi, abbigliamento e viveri inadatti, insufficienti, ridicoli. I ragazzi partiti per la spedizione sentivano nelle orecchie il risuono della propaganda entusiastica, ma ingannatrice, di una campagna dipinta come una specie di “passeggiata”. Partirono in 220 mila, ma tornarono solo in ventimila: una disfatta. Elia Marcelli fu uno di loro. E a casa riportò il gelo, il dolore, la rabbia. Li trasformò in versi, da poeta, qual era. In modo che i suoi ricordi fossero eterni. E scelse il dialetto per costruire questa memoria con tutta la verità della lingua che si parla.Il risultato è il poema “Li Romani in Russia”, una straordinaria visione epica che ricostruisce via via la spedizione. Dalla partenza al viaggio, ai combattimenti, alla neve, ai soldati, ai muli, al nemico, alla solidarietà, al cameratismo, all’egoismo, al rispetto del proprio dovere. Fino alla ritirata, alla sconfitta, alla morte. E alla disperazione di chi sopravvive. Così Cristicchi stavolta si misura con un monologo “corale ” per narrare un’altra terrificante e crudele insensatezza del secolo scorso.
s.bartolini
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