«Un ragazzo timido, serio, parlava poco. Restò qui quattro o cinque mesi, a casa del suo tecnico Diego Mombelli che lo aveva scoperto sui Kart». La descrizione è quella di un giovane brasiliano che avrebbe fatto parlare di sé, fino ad assurgere all’immortalità della storia.
Per contestualizzarla l’indirizzo da mettere sulla macchina del tempo è Comerio, primi anni ’70. Epoca in cui il futuro pluricampione del mondo di Formula 1 Ayrton Senna cerca di interpretare un destino già scritto correndo su quei prototipi che sono un po’ la scuola dell’automobilismo.
Il suo Kart ha un problema: «Morbelli mi chiese di intervenire sulla parte elettrica per migliorarne le prestazioni. Creai una centralina speciale che permetteva al motore di avere un anticipo sui 25 gradi, invece dei 2 di quelli tradizionali. A ogni curva Senna iniziò a dare 5 o 6 metri a tutti».
Insomma: il Re della scintilla aveva colpito ancora. Il soprannome – che trova genesi in un addetto al controllo del team Moto Guzzi – calza a pennello a Carmelo Ereddia, 85 anni, vestendo la sua storia di mago delle accensioni a servizio delle case motociclistiche più famose e dei piloti più leggendari. Vi diamo l’alternativa: potete definirlo anche “uno dei ragusani più famosi del mondo”. Lo permette un premio, consegnatogli nella sua città natale il 31 luglio scorso davanti a 10 mila persone, riconoscimento per chi ha reso celebre lungo il globo terraqueo la città abbarbicata sui monti Iblei. Come l’ape laboriosa, voli lontano in cerca del nettare. Come l’ape generosa, offri al mondo il tuo miele. Così ha fatto questo siciliano trapiantato a Varese fin da piccolo, tanto che le sue origini isolane non risuonano nella parlata che evoca aneddoti impareggiabili, racconti di quarant’anni di motociclismo. La scintilla non arriva per caso, nella vita come nella meccanica applicata alle due ruote. Fin dai tempi della Dansi, la celebre industria varesina cui Ereddia ha dedicato 35 anni di carriera, il tocco del Re si esplicava così: gli davano indicazioni sul peso, sulla potenza e sul diametro del motore, e lui creava l’accensione, lavorando su bobine, volani e cilindri. Ore in sala prove, «tanto da diventare quasi sordo». L’arte non poteva restare nascosta: le fortune del carrozzone del motomondiale griffato in bianco e nero iniziano a dipendere da lui. E lo faranno per decenni.
Nel 1955 viene prestato dalla stessa Dansi alle corse: segue la Mv Agusta, concentrandosi inizialmente sulla 3 cilindri di un certo Giacomo Agostini. Il tassametro segna 15 titoli mondiali, e arriva addirittura a 68 considerando i piloti di tutte le categorie: «Mi capitava di seguirne anche 30 o 40 per volta, solo contando i privati – narra Carmelo – Poi quelli delle varie
case: Harley Davidson, Benelli, Minarelli, Moto Guzzi… Mi conoscevano tutti». Ereddia ha così travalicato un mondo genuino, fatto di passione e spericolatezza: «I piloti dell’epoca? Brava gente. Da Agostini, tipo super professionale che ogni domenica ci costringeva a pensare alle moto anche dopo cena, a Walter Villa, 4 campagne iridate, a Renzo Pasolini, forse quello con cui ho avuto il rapporto più stretto».
Il patrimonio del suo vissuto – elargito all’interlocutore con l’entusiasmo di chi ha amato ogni istante della propria esistenza – consta di gemme dall’essenza diversa ma dell’eguale potere di cattura per chi le scopre. Ci sono i circuiti: «Quello dell’Isola di Man era il più pericoloso di tutti. Settanta chilometri conditi da 256 curve, salite, discese e contropendenze. Lì un cavallo di razza come Agostini vinse 7 volte su 10, poi eliminarono il circuito dal mondiale perché ogni anno provocava incidenti anche mortali».
Le persone: «Non giravano i soldi che ci sono oggi. Ricordo un certo Baglioli che con la diaria per il quinto posto al campionato italiano si pagò il viaggio di ritorno a casa». Le corse: «Ora ci sono i riferimenti per staccare, un tempo no. Sul circuito di Ospidaletti Fosco Giansanti prese a riferimento per 20 giri un marinaio che si era messo proprio in corrispondenza di una curva. Al ventunesimo non lo trovò più e finì dritto». Le tragedie: «Nel Gran premio di Monza 1973 il lutto scese sulle moto. Saarinen e Pasolini si giocavano il mondiale, partirono cattivi: alla prima curva arrivarono già a duecento all’ora. Quello che è successo non è ancora chiaro, ma morirono entrambi. Mi è rimasto dentro».
L’epopea delle due ruote è intervallata da brevi tratti su quattro. Torniamo all’inizio: «Con Senna rimasi in ottimi rapporti. Nel 1993 andai a cena con lui a Bologna, poi mi invitò a salire sulla sua Porsche gialla e raggiungemmo l’autodromo di Imola. Lo percorremmo tutto a piedi, parlando». Sì, anche quel maledetto tratto.