Dietro quelle sbarre c’è la voglia di riscatto

Carceri. Un argomento trattato con le pinze, a meno che vi sia un’evasione clamorosa o drammatici problemi di spazi vitali. Difficilmente si parla di coloro che vivono la detenzione a livello individuale come se la colpa, soprattutto se per piccoli reati, rendesse i carcerati delle persone da nascondere alla società civile, individui borderline cui non si pensa di poter dar un’opportunità di redenzione, rifiuti di questa nostra collettività

inquinata da mille pregiudizi. Varese in questo è avanti, vedi il concorso artistico-letterario a loro dedicato cui hanno aderito 167 detenuti delle carceri lombarde. La premiazione si è svolta a Villa Recalcati e nel corso della lettura dei vincitori è emerso un fatto importante: in queste persone esiste una sete, una grande voglia di cultura attraverso la quale si potrebbe operare un riscatto umano e morale.

Persone dotate di una sensibilità a fior di pelle, elemento che si può tradurre in maniera positiva o, come nel loro caso, negativa. Ma pur sempre di sensibilità si tratta e di fragilità, una fragilità psichica che tutti paiono voler combattere. Ma più ci addentriamo in questa oscura giungla dell’ambiente carcerario italiano, più veniamo a scoprire che davvero, la bilancia della giustizia è dotata di due pesi e due misure. È mai possibile che si venga condannati a scontare una pena che va oltre i 12 mesi per un furto di 17 euro in un supermercato, mentre manigoldi extra lusso se ne vanno a spasso dopo aver derubato la nazione a suon di milioni? Allora esiste una giustizia di serie A e una serie di B? Sovente udii pronunciare con grande amarezza dall’avvocato mio padre che la legge non è uguale per tutti, come viene solennemente conclamato nelle aule dei tribunali. A cosa servono codici, codicilli, cavilli, articoli a-bis e ter se poi spesso la sentenza viene pronunciata senza una salomonica obiettività?

Privare un individuo del bene più prezioso al mondo, la libertà, per una manciata di euro mentre colui che investe una persona se ne torna a casa impunito… Forse sarebbe opportuno rivedere non solo il modus operandi ma anche il modus cogitandi. Ma “va bene così”, non me la prendo, devo riuscire a farmene una ragione, ora sono qui”, scrive il detenuto dei Miogni, vincitore di una delle due menzioni speciali.

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