Quando in una storia d’amore scoppia una tempesta i casi son due: o ci si manda a quel paese e ognuno va per la sua strada, oppure ci si dice tutti in faccia e si riprende a camminare. Se si sceglie la prima opzione significa che l’amore era bello che finito, se invece si sceglie la seconda vuol dire che in fondo ci si vuole ancora bene.
E a noi piace pensare che sia andata un po’ così: diciamoci tutto, tiriamo fuori gli ultimi rospi, ripuliamo gli armadi da quegli scheletri che ancora erano nascosti in qualche angolo buio. E poi, basta: senza segreti, senza frasi tenute dentro, senza sospetti. Perché a noi, di tutto questo circo, interessa una sola cosa: il bene del Varese e il suo futuro. Futuro che non può prescindere dalle persone che – piaccia o no – ne hanno costruito il presente (dalla famiglia Sogliano in giù, ovviamente).
Non sappiamo voi, ma noi ne avevamo le tasche piene: di quella continua e costante ricerca di qualcuno su cui scaricare la colpa per qualcosa, di quell’aria rancida che troppo spesso abbiamo respirato attorno al Varese negli ultimi tempi.
E non sappiamo voi, ma stavolta vorremmo crederci: per la prima volta dopo tanto tempo tutto è chiaro e di nascosto non c’è nulla, e allora ci sono davvero le condizioni per costruire una società capace di guardare più in là del semplice domani.
È stata messa in chiaro la cosa più importante, tracciando un solco netto su chi ha lavorato per il bene del Varese (sbagliando qualche volta, diavolo, ci mancherebbe altro) e chi invece ha lavorato solo per sé stesso (sbagliando sempre, sia chiaro).
E allora: avanti. Senza più ripicche, vendette o sussurri. Avanti senza più dubbi, senza menate e pugnette mentali: che qui c’è da lavorare, in campo e fuori. Si mettano le persone che meritano al posto che meritano e poi non si guardi più indietro. Anzi: si guardi indietro solo per ammirare la strada fatta: che è stata tanta, e ha avuto un panorama splendido.
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