«Io amo il Varese, non come quello lì». «No, il Varese lo amo più io». «Dove sono questi signori?». «A questi signori rispondiamo che…». Asilo Mariuccia in salsa calcistico-varesina? No, signori (ci adeguiamo alla moda del momento e chiamiamo così i nostri cari lettori), molto di più.
Alzate il sipario, svuotate il foyer, riempite platea e gallerie: a Varese è tornato il Teatro Sociale, quello vero. Chi non perde occasione di sottolineare la mancanza nella Città Giardino di una struttura adeguata all’arte del palcoscenico non ha forse mai assistito a uno spettacolo dei soci attuali del Varese della pedata. Carmelo Bene, Giorgio Albertazzi, Eduardo De Filippo e Dario Fo? No, direttamente dalla serie D (avessi detto Champions League…) ecco i mattatori Gabriele Ciavarrella, Enzo Rosa, Paolo Basile e Aldo Taddeo, citati in rigoroso ordine di apparizione sul palcoscenico (pardon, conferenza stampa).
Il saggio di perizia, talento ed esperienza degli attori succitati è sgorgato prepotentemente nelle ultime tre settimane: parole che trovano nella loro ripetizione l’enfasi adeguata, pugni sbattuti sul tavolo a sottolineare i concetti importanti, interrogativi che si perdono nell’aria mentre la fervida immaginazione di chi li pronuncia costruisce davanti a sé un interlocutore non presente, pause sceniche, voci modulate alla perfezione nel discettare di debiti, fornitori e quote.
Arte, purissima. Dopo lo scoppiettante “J’accuse” di Ciavarrella-Rosa, ieri è andato in scena il “Ripiccone” della strana coppia Basile-Taddeo, con tanto di sorrisi di scherno verso gli spettatori e il sempre verde “coup” (de théatre, appunto) che consiste nel dividere la stampa cittadina in amici e nemici. Magistrali entrambe le opere, lo ammettiamo: più simpatica la prima; tenebrosa, testosteronica, noir la seconda.
Ora, un consiglio: scendete dal palco. E fateci risalire il Varese.