VARESE «Ho dormito nel cimitero di Gallarate in diversi periodi dal 2008 al 2012». Stefano Corbella, 48 anni, nato a Busto Arsizio, ha deciso di raccontare la sua storia perché spera che qualcuno lo aiuti a trovare un lavoro: «Nessuno ha mai fatto nulla per me, se non offrirmi scatolette di carne Simmental e suggerirmi di andare a fare il pupazzo in qualche programma televisivo del pomeriggio». La storia di Stefano inizia nel 2008 quando perde casa, moglie e il lavoro di operaio mulettista in una fabbrica. «Da lì sono stato ospitato da tre diversi amici, ma tutte le volte si presentavano problemi di convivenza con le loro famiglie. Uno mi ha buttato fuori casa senza preavviso. Il secondo diceva che ero un depresso e mi ha cacciato via con l’aiuto dei suoi genitori. Il terzo, che adesso si è messo “a posto”, mi avrebbe ospitato, ma erano i suoi parenti che non volevano». Senza una casa, senza un amico «perché quando non hai nulla nessuno ti vuole vicino per non doverti offrire le sigarette», preso ripetutamente a botte dagli ubriachi, alla fine Stefano ha chiesto ospitalità ad alcuni nomadi. «Mi hanno accolto senza pretendere nulla in cambio – continua l’uomo – Ma io non mi trovavo bene
perché ogni sera si ubriacavano e si picchiavano tra di loro». Da lì il tentativo di trasferirsi in un altro campo, a Busto Arsizio. «Quel campo era però frequentato da una persona che voleva tirarmi dentro in lavori poco puliti e così me ne sono andato, perché vivere sulla strada posso accettarlo, andare in carcere no». A quel punto, sentendosi minacciato, Stefano ha deciso di andare a ripararsi nell’unico posto dove i nomadi, dice, non sarebbero mai entrati: il cimitero di Gallarate. «Aspettavo l’orario di chiusura, poi scavalcavo il cancello e mi mettevo a dormire nel bagno. Lì mi sentivo protetto perché gli zingari hanno paura degli spiriti e di notte non mettono piede nel cimitero». «Quando non stavo lì mi rifugiavo nei boschi di Busto Arsizio – continua l’uomo – Un giorno mi sono svegliato con alcune zecche sul petto. Sono andato dal medico per farmele togliere. Lui prima mi ha medicato, poi mi ha segnalato ai servizi sociali. Quindi mi hanno portato in una comunità per alcolisti dove mi hanno dato pastiglie su pastiglie, ma non sono riuscito a smettere di bere. Tanto che la prima cosa che ho fatto quando sono uscito da quella comunità è stata andare a comprarmi una bottiglia di vino».
Il servizio e tutte le reazioni sul giornale in edicola sabato 29 dicembre
s.bartolini
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