Due giorni di vita eppure qualcuno è ancora infelice

Il commento di Andrea Confalonieri dopo la presentazione a Palazzo Estense del Varese Calcio 1910

Chi ama il Varese vada a farsi un giretto al Franco Ossola: vedrebbe che hanno perfino chiuso i rubinetti dell’acqua, che le ultime maglie biancorosse sono state prese in custodia dai magazzinieri (Botta e Cunati: giù il cappello davanti a questi signori, molto più eroici nella loro fede inviolabile di qualunque giocatore, senatori compresi) perché gli ultimi dirigenti infidi e avidi non portassero via pure quelle, oppure che ci ha dovuto pensare l’Ernesto a portare da casa quattro sedie per continuare a passare i pomeriggi con i mitici pensionati che ringhiano sulle caviglie di giocatori e dirigenti dai tempi di Colantuoni, ogni pomeriggio da trentacinque anni.

Chi ama il Varese in questo momento non pensa a se stesso (e, se lo fa, sogna di tornarci, senza trame, sotterfugi e telefonate ai potenti di turno) ma a una società che ha appena due giorni di vita, fragile e incerta, a cui non si può chiedere nulla se non quella che il neo presidente ha chiamato “Life”, cioè vita.

Chi ama il Varese in questo momento è felice o preoccupato per una creatura che nasce, e non deluso perché non può esserne il padre (di padri ce n’è uno solo, e si chiama Peo Maroso).

Chi ama il Varese pronuncia con un nodo alla gola misto a orgoglio e commozione le parole di Bruno Limido, che ha accarezzato il sogno di poter farne parte eppure dice: «Ero a un passo dal paradiso… rimango all’inferno ma sono felice che il grande Varese inizi un nuovo corso. Grazie per tutto». Splendida, straordinaria, esemplare l’umanità e la generosità di Bruno: non c’è anche se meriterebbe di esserci, eppure s’inorgoglisce.

Andiamo tutti a lezione da Limido. Dalla lavandaia Rosy, dai magazzinieri Alessandro Botta e Aldo Cunati: gente che non vede un euro da mesi, come tanti, ma che rispetto ai tanti nella vita ha solo il Varese e, soprattutto, non urla ma aspetta in silenzio, con gli occhi gonfi di speranza, una chiamata che forse non arriverà mai ma non per questo dà la colpa al Varese. Perché, come disse il giardiniere Franco Vanoni a Francesco Caielli dieci giorni fa, «io adesso esco a vado lo stesso al Franco Ossola a bagnare il prato. Perché altrimenti si secca».