Due varesini sulla nave da incubo «Noi salvati dai cuochi filippini»

VARESE «Siamo ancora sconvolti: avete presente le scene del film Titanic? È stato la stessa cosa, persino i rumori erano gli stessi». Questo il racconto di Michela Bianchi, una superstite del naufragio della nave Costa Concordia.

Michela è di Gallarate, ha 31 anni e si era imbarcata a Civitavecchia, insieme al fidanzato Morris Zoccarato, solo un paio di ore prima che l’incubo avesse inizio. «Doveva essere un’esperienza indimenticabile – continua Michela – Invece si è trasformata in una tragedia». La ragazza gallaratese ha la voce ancora scossa e i brividi per lo scampato pericolo.

I due fidanzatini si erano imbarcati venerdì per motivi di lavoro: Michela è l’assistente di Sandro Leoniddi, il responsabile del programma “Professione lookmaker”, un reality che si sarebbe dovuto tenere sulla nave Costa Crociere, in navigazione nel Mediterraneo. Ma le cose non sono andate come si sperava. «Abbiamo appoggiato i

bagagli in cabina- racconta Morris – Io ho fatto un giro sulla nave e poi ci siamo ritrovati nel ristorante Milano al primo piano per la cena. Alle 21.07 il cameriere ci ha portato in tavola lo scontrino con una bottiglia d’acqua e del vino. Un minuto dopo è inizato l’incubo».

La coppia racconta di aver sentito un boato, un enorme scossone, poi la luce che salta. «Eravamo, insieme a tutta la troupe e alla giornalista Mara Parmegiani, proprio sulla coda della nave, dove lo scoglio ha squarciato lo scafo. C’erano piatti, bottiglie e oggetti vari che volavano in testa alla gente. Si è creato il panico. Siamo corsi subito sul ponte».

Fuori, le cose non andavano meglio e nessuno credeva alla voce dell’altoparlante che parlava di un guasto ai generatori. «Sapevamo che non poteva essere un guasto elettrico – continua Morris – La nave ha iniziato ha imbarcarsi sul fianco. Poi, anche sul ponte è arrivato il blackout, seguito dai sette fischi e dal segnale di abbandonare la nave. Sul ponte siamo rimasti ancora per quasi due ore, nel buio più assoluto, senza che nessuno coordinasse i salvataggi e le scialuppe. La gente urlava, spingeva, si buttava in acqua: scene da film».

Morris dice a Michela che se entro 20 minuti non li fanno salire sulle scialuppe, si sarebbero buttati in mare per tentare di raggiungere l’isola del Giglio a nuoto. «Ci dicevano di recuperare i giubbotti di salvataggio ma i nostri erano nella cabina all’ottavo piano, ci avremmo messo troppo. Per di più non avevamo ancora fatto il boat drill (simulazione di situazioni d’emergenza), prevista per il pomeriggio successivo, e nessuno sapeva cosa fare».

La fortuna della giovane coppia, infatti, è stata quella di essere accanto alle scialuppe. «Anche il personale era in panico. Siamo stati coordinati da cuochi e addetti alle pulizie filippini che hanno fatto il possibile per farci rimanere calmi ma parlavano a fatica l’italiano e non erano preparati a questo. Eravamo proprio sul lato della nave caduta in acqua, le scialuppe sull’altro lato si sono spezzate. La gente urlava e spingeva, rischiavamo di finire lanciati in acqua, non si capiva nulla». Poi, è arrivato un ammiraglio e, piano piano, le scialuppe sono state messe in mare. «Abbiamo dato la precedenza ai bambini».

Michela e Morris sono arrivati a terra sulla scialuppa numero 19 con altri 100 passeggeri alle prime ore dell’alba. «Sull’isola tutta la popolazione si è mobilitata, sono stati fantastici. Il proprietario dell’hotel Bahamas ci ha messo a disposizione una stanza per farci una doccia calda».
Valeria Deste

s.bartolini

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