Corsi e ricorsi di una storia tutta varesina. Passato remoto e futuro prossimo. Delusione mista a speranza e aspettativa. Voglia di non mettere il punto fermo. Cantù-Varese, la sua vigilia e l’interrogativo sulle sue trame ancora nascoste sono state e saranno tutto questo.Partita più importante dell’anno: quante volte è stata usata questa definizione? L’esigenza di ripetersi trova genesi nei meriti di Moretti e prodi tutti: dalla salvezza alle alte vette l’asticella si è alzata sempre di più, ha cambiato obbiettivi, prospettive, sensazioni, manifestazioni. Un esempio? L’1 gennaio 2016 fu un giorno piuttosto triste a Masnago, specchio di una stagione che non stava andando come doveva, cartina tornasole della paura. Gli Arditi si presentarono al Palawhirlpool e interruppero l’allenamento di Cavaliero e compagni prima del derby di andata: tensione, pur nei limiti della civiltà, facce scure, umore nero.Lo stesso episodio si è ripetuto ieri: una ventina di tifosi della curva nord si sono diretti al palazzetto e hanno nuovamente sospeso la sessione comandata da Moretti. Cos’è cambiato? Tutto. I supporter sono entrati in campo intonando cori di giubilo, hanno esposto uno striscione recante la scritta “Orgogliosi di voi”, hanno scattato foto con i giocatori, scambiato “cinque alti” con lo staff, chiacchierato con il presidente Coppa e il resto della dirigenza. Si potrebbe discutere all’infinito sui gesti che contraddistinguono il modo di fare il tifo in Italia, così come parlare a lungo di quanto considerazioni e umori possano cambiare nell’arco di soli cinque mesi. Sarebbe inutile: è la vita. Sarebbe inutile: meglio concentrarsi su quanto sia bello che a un sogno sfumato ne segua subito un altro da inseguire.La delusione di Chalon si fa speranza per Cuggiago e per i playoff. Stasera ci si giocherà la possibilità di non terminare
qui e ora una stagione dai due volti, si affronterà la paura di passare – in caso di sconfitta – giorni e giorni di retro-pensieri, maledicendo errori e sfortuna. Difficile o meno la chance va agguantata, anche se all’ultimo, anche se due mesi fa ci saremmo tutti accontentati di una semplice salvezza (vista la mal parata…). In caso contrario si morirebbe di rimpianto, perché sarebbe bastato davvero poco, perché verrebbero in mente le parole di inizio stagione e i conti in sede di bilancio non potrebbero essere positivi, nonostante l’inaspettata, recente crescita.C’è una città intera che ieri ha idealmente ringraziato la squadra insieme agli Arditi per l’impresa sfiorata di Chalon e che oggi spera di non dover rinunciare al basket per i prossimi 5 mesi. Non può finire così: non ora, non sul più bello. Non contro di “loro”, i cugini che non hanno più nulla da chiedere al campionato e la cui unica motivazione nell’affrontare la Openjobmetis è quella di non essere coperti di fischi e insulti dai propri tifosi dopo un’annata imbarazzante. Loro, la squadra di figurine cui non è riuscita la trasformazione in corsa azzeccata da Varese (che di figurine non ne ha prese: si è limitata a un play, a Kangur e a strappare le erbacce). Infine c’è lui, Roko Leni Ukic e una storia d’amore che sembra quella cantata da Francesco De Gregori nel pezzo “Passato Remoto”: «Il miglior bacio fu quello non restituito». I mille cartelli con scritto “Roko” furono fisiologici in una Varese depressa, alla ricerca di una passione sopita, in piena crisi d’identità, bisognosa di attenzioni tecniche. Nessuno avrebbe mai immaginato che il no dell’avvenente (cestisticamente parlando) Ukic sarebbe stato l’inizio della rinascita per noi. E della fine per lui.