Non è tipo di molte parole Lulù Oliveira; saranno forse l’ambientamento, la nuova avventura per la prima volta al comando di una squadra di Lega Pro, che lo rendono riservato: ma probabilmente è il carattere di un personaggio che da giocatore ha sempre privilegiato i fatti(gol) alle esposizioni sui media. E ne avrebbe avute tante di ragioni, soprattutto durante il periodo cagliaritano. Un dna, un bagaglio, un profilo che si porta in dote anche come allenatore.
Lo si è capito dai primi minuti del suo arrivo allo Speroni, con quel «parliamo di calcio» a significare che lui predilige il linguaggio del campo. Da lì non puoi scappare: se hai le qualità emergi, altrimenti sarai sempre nelle retrovie. Lo si è visto al primo allenamento, con il pallone buttato in mezzo ai suoi ragazzi dal primo secondo e per tutta l’ora e mezza di lavoro. Il pallone, la filosofia di Lulù. E si potrebbe buttar lì anche un «ma va!», visto che si parla di calcio. Spesse volte certi tecnici si beano nel parlare di tattiche e di moduli, quasi vestendo la toga dei cattedratici, dimenticando i fondamentali.
Saper trattare il pallone è fondamentale: inizio sempre gli allenamenti con il torello.
Cominciare con il torello ti costringe ad essere sveglio di testa e di piede. Ad acquisire la rapidità nei movimenti. E in un certo senso anche a non pensare. Devi essere pronto, attento, altrimenti l’avversario, in questo caso il compagno, ti ruba il pallone e il tempo.
Voglio che si giochi massimo a due tocchi. Se non sei rapido nel gestire la palla, sei lento nel pensare ai movimenti che vuoi fare, arrivano gli altri e ti portano via il giocattolo. Ma essere veloci vuol dire sorprendere gli avversari. Vorrei che la mia squadra interpretasse questo mio modo di pensare il calcio. In questi primi giorni ho parlato coi giocatori e ho cercato da subito di trasmettere questa mia idea: toccherà al sottoscritto essere capace di trasmettere i concetti.
Guardo ai giocatori che ho a disposizione e poi decido quello che meglio possa favorire le loro caratteristiche. Ovvio che qualcosa abbia in testa anch’io, ma prima devo conoscere i giocatori. È davvero presto per parlarne.
.
No: perché dovrei avere paura?
.
Non ho mai avuto paura quand’ero giocatore non ho motivo di averne adesso come allenatore.
Parlerei di curiosità per quello che sto per affrontare. Direi anche che è molto stimolante, pur sapendo che ci sono delle difficoltà. Anche se queste ci sono sempre nel calcio: lavoreremo per superarle.
È la voglia di giocare a pallone: così mi mantengo anche in forma.
Saluta con una pacca sulla spalla e va verso il campo, a richiamare i suoi giocatori mentre fanno il torello: «Palla a terra, palla a terra!». E magari, fra qualche settimana, urlare dalla panchina «palla in rete, palla in rete!».
© riproduzione riservata