Parlare con Edo Bulgheroni di Varese è un po’ come prendere il volo e guardare la città dall’alto: lontani dal rumore le cose si vedono e si ascoltano meglio, ed è bello abbracciare con un solo sguardo tutto quello che sta sotto. Si può – anzi, no: si deve – parlare di tutto, con la consapevolezza di avere di fronte una persona che a ogni domanda non risponderà mai nulla di banale. Decisamente, Edo Bulgheroni è il sogno di ogni giornalista. Per fortuna, ce l’abbiamo noi.
La Pallacanestro Varese ha perso d’un soffio la finale di coppa, perdere così è brutto. È una sensazione che anche noi abbiamo provato e che nessuno vorrebbe provare, ma è un passaggio obbligato. Per vincere in Europa serve fare esperienza, e l’unico modo per fare esperienza è perdere. Mi sbilancio: la prossima finale non si perderà.
Se una squadra che nella serie A italiana non si è qualificata ai playoff è arrivata a un soffio dalla vittoria, significa che non è impossibile. Basta arrivare al momento giusto nella forma giusta, e il gioco è fatto.
La chimica, aiutata dall’innesto giusto, fa miracoli: due mesi fa questi giocatori sembravano dei brocchi, adesso sembrano dei campioni. E dico sembrano, non a caso: non erano brocchi prima, non sono campioni adesso.
Avete fatto benissimo a farlo e a scrivere quelle cose, e credo che i vostri articoli di fuoco siano serviti a dare la sveglia.
Le critiche non fanno mai piacere. Noi odiavamo Pigionatti, perché Pigionatti diceva le cose vere. Ai varesini, non la puoi raccontare: la squadra stava andando male perché era stata costruita male, la squadra stava retrocedendo. E voi l’avete detto.
Non glielo consiglio. È stato preso Coldebella e Coldebella farà tutto, prendendosi ogni responsabilità. E mio padre, cosa farebbe: il presidente onorario? No, non ce lo vedo. Resterà l’amico della Pallacanestro Varese, quando dovrà dire quello che pensa lo farà senza peli sulla lingua, sarà sempre pronto a dare il suo contributo. Ma da fuori.
Molto. Era il giocatore che avrei sempre voluto nella mia squadra e non sono mai riuscito a prendere. In campo era odioso, insopportabile: ma era uno di quelli con cui, finita la partita, ti fermavi a parlare. In campo era un leader, lo può essere anche da dirigente: non avrà problemi, quando sarà il caso, di appendere qualcuno al muro dello spogliatoio. Lo vedo un po’ come il nuovo Cappellari: mi piace.
Sa cosa le dico? Il calcio è lo sport più bello che ci sia. Parlo del calcio giocato, di quello che succede sul prato. Perché poi quando lo sguardo si alza e si va a guardare tutto quello che al calcio sta attorno, ecco che il gioco mi sorprende sempre in negativo.
Leggo di possibili nuovi ingressi in società, e da spettatore esterno e magari un po’ ingenuo dico che preferirei se le cose andassero avanti così. Non ho assolutamente nulla contro Vavassori, è un grande imprenditore e sicuramente sarà anche un’ottima persona. Ma è un uomo che fa parte del sistema calcio, e per questo non mi fa impazzire. A Varese quest’anno si è visto il paradigma perfetto: società in mano ai tifosi, che fanno quello che farebbe la gente normale. Senza giochetti, senza ipocrisie, senza paura di mandare via un giocatore perché non si impegna anche se ha un grande nome.
Una favola, una favola meravigliosa: impossibile non lasciarsi coinvolgere. Il Leicester ci ha regalato una parentesi di fascino: una perla che ha rappresentato quello che dovrebbe essere lo sport, dentro un sistema in cui lo sport purtroppo è diverso.
Umanità. E al Leicester ho visto umanità, tanta. Mi ha ricordato tantissimo il nostro anno dello scudetto con i Roosters.
Perché ho visto una simbiosi tra giocatori e tifosi, un’unione di intenti ma anche una condivisione. Allora i tifosi venivano al Campus a bere il caffè e facevano due chiacchiere con De Pol, leggevano la Gazzetta con Mrsic, salutavano Meneghin. La sera andavano a mangiare un panino alla Botte e trovavano Galanda e gli altri. Peccato che, anche in questo caso, stiamo parlando di una parentesi: qualcosa che è durato lo spazio di un anno, che è successo e non si è più ripetuto. Perché non ci sono più stati dei Roosters Varese, così come non ci sarà mai più un Leicester.
Sono pronto.
Ha fatto la scelta che probabilmente io non ho avuto il coraggio di fare. Perché io mi sento un imprenditore, non un politico. Orrigoni ha deciso di intraprendere la doppia strada, rimanendo imprenditore e scegliendo di fare anche il politico. E questa cosa mi lascia con un grosso punto interrogativo.
Non lo conosco, ma è una persona della quale non ho mai sentito parlare male: e questo, almeno per quanto mi riguarda, è un grosso punto a favore. Non parla il mio linguaggio e non dice quello che penso io, ma ha degli argomenti sicuramente molto, molto validi. Non è assolutamente tagliato fuori, nella corsa a sindaco: ma proprio per nulla.
Per parlare di Stefano, che è un amico, utilizzo una metafora e mi ispiro a Facebook. Diciamo che a Malerba metterei senza dubbio il mio “mi piace”, ma imposterei la privacy per fare in modo che i suoi amici non possano vedere quello che pubblico io. Stefano mi piace, mi piace quello che dice: mi piace un po’ meno quello che gli sta attorno, se devo essere sincero.
Difficile dirlo. Penso che Malerba prenderà molti voti, e che in caso di ballottaggio potrà essere decisivo. Ecco, diciamo che quei quindici giorni che ci saranno tra il primo turno e l’eventuale ballottaggio saranno molto, molto caldi.
Ecco, loro mi hanno sorpreso e mi hanno sorpreso in negativo. In tutto il resto d’Italia i loro candidati sono forti, rappresentano dei fattori importanti e in alcuni casi rischiano anche di vincere. A Varese, invece, non sono riusciti a fare nulla. Ecco, questo mi ha sorpreso. Il loro elettorato in qualche modo avrà comunque un peso: gli altri candidati ne dovranno tenere conto.