«Eredità pesante, ma ci salveremo»

Intervista a Riccardo Polinelli, membro del cda biancorosso e imprenditore con a cuore Varese

Da Galliate Lombardo al mondo. E ritorno. Per amore verso la sua terra e per passione, anche cestistica.

La storia di Riccardo Polinelli meriterebbe più righe di quelle di un semplice articolo di giornale, esemplificazione qual è di un “saper fare” imprenditoriale che nasce dall’intraprendenza, si contamina con viaggi e approfondimenti ed è infine capace di restituirsi a quel territorio-nido da cui tutto è partito.

Colui che è entrato nel consiglio di amministrazione della Pallacanestro Varese nell’incipit dell’estate 2016 ha le sue radici lì dove la terra è accarezzata dalle acque, in riva al lago: ultimo di cinque figli, perso il padre in giovane età, entra – «quasi per caso» – nel mondo dell’occhialeria, cercando e trovando lavoro alla Sordelli di Venegono Inferiore. Lo studio delle lingue, i viaggi negli Usa e in Canada, intrapresi per capire il mercato e abbeverarsi di marketing, gli danno la chance di spiccare un salto di qualità:

prima diventa responsabile delle vendite estere della Sordelli, poi si mette in proprio. Nasce la Polinelli Occhiali, core business nella vendita di una produzione che si disloca in Veneto ma anche nel Varesotto, e poi la Lem, che si specializza in occhialeria sportiva, sottoinsieme nel quale la differenza viene fatta dalla tecnica, più che dall’estetica. L’ultima delle due creature viene venduta a una società americana, con l’imprenditore che si concentra sulla Polinelli e la fa crescere, rendendo l’azienda, e la sua persona, un punto di riferimento internazionale del ramo.

“L’homo faber fortunae suae” sa anche quando è il tempo di un passo indietro. «Faccio sempre questo esempio: la mia azienda era una barca che navigava osservando all’orizzonte l’arrivo di una grande tempesta. Vicino a noi è passato un transatlantico e ci ha chiesto se volevamo salire: abbiamo risposto di sì». Il transatlantico si chiama Luxottica e punta gli occhi su ciò che lui ha costruito.

Il dado è tratto. Intervallo.

Secondo tempo: «Quando ho smesso di fare l’imprenditore non mi sono visto come un pensionato che passava il suo tempo al bar. Allora con mio nipote ho iniziato l’avventura nel campo della ristorazione, aprendo prima la Bottega Lombarda e poi la Fattoria Il Gaggio, l’agriturismo. Attività che mi hanno tenuto impegnato e mi hanno consentito di continuare a creare benessere e di restituire qualcosa al mio territorio».

Da Galliate al mondo e ritorno. Con un insegnamento: «Bisogna guardare sempre in grande e non chiudersi nel proprio guscio. Una soluzione ai problemi c’è, sempre».

Già quando andavo a scuola io, cinquant’anni fa, lo sport principe qui è sempre stato quello. È nel dna di questa città. Allora Varese giocava alla palestra dei pompieri, in via XXV aprile, e iniziava a gettare le basi di quella che sarebbe stata la squadra che avrebbe dominato l’Europa: lì incominciai a seguirla e diventò subito una grande passione. Ho poi avuto qualche periodo di blackout, allontanandomi per mille e altri motivi, ma questi colori sono sempre rimasti un amore che covava sotto la cenere. Bastava soffiare un po’…


Sì ho voluto partecipare fin da subito al salvataggio della Pallacanestro Varese. Nel Consorzio ho dato una mano per un po’ di tempo, poi ne sono uscito perché avevo deciso di cedere le mie quote della Bottega Lombarda e quindi non avevo più un’azienda che potesse stare in Varese nel Cuore. Poi un giorno Alberto Castelli mi ha chiamato per chiedermi di dare una mano nel cda della società: ho accettato. Sapendo che sarebbe entrato anche Toto Bulgheroni, mi sono detto: «Largo ai giovani…».


Sono stati mesi sicuramente non facili. Conoscevo la Pallacanestro Varese come consorziato, ma non nei suoi aspetti gestionali. E devo dire che ho, abbiamo, incontrato delle difficoltà che non pensavamo di trovare.


Dire che l’eredità delle passate gestioni non sia stata facile da assorbire è un “understatement”, è dire poco. In Pallacanestro Varese ho, però, trovato anche un gruppo di persone molto determinato e positivo, che ha identificato i problemi e sta cercando di risolverli. Purtroppo dal punto di vista sportivo i risultati sono stati inaspettatamente negativi: pensavamo di aver costruito una squadra tutto sommato buona e articolata, ma la stessa non ha ottenuto quello che era in grado di ottenere.

Mi ha fatto dispiace sentire così tanti commenti negativi nei confronti della nostra società. Soprattutto quelli del tipo «la società è immobile, è assente, non si sta facendo nulla». Non è così: noi non ci facciamo vedere, ma lavoriamo comunque. E lo stiamo facendo per garantire la continuità e il futuro di questa realtà.

Il malato va curato in modo che possa riprendersi. Ma poi è altrettanto importante il compito di mantenere e creare entusiasmo in un momento così difficile, perché alla situazione gestionale si è sommata la sfilza di risultati negativi. Rimango ottimista e mi piacerebbe percepire un clima più positivo intorno a noi e alla squadra.


Sugli errori fatti mi asterrei: siamo entrati all’inizio di questa stagione con decisioni già prese, un allenatore già presente e scelte tecniche già fatte: il nuovo cda ha avuto poco spazio di manovra. Le decisioni che abbiamo preso non sono eclatanti, ma hanno avuto come obiettivo la messa in sicurezza della società. Giochiamo in un campionato in cui conta il budget che ogni squadra ha a disposizione: noi, in questo momento, ne abbiamo uno tra i più bassi della serie A. E questo è un grosso limite, ma anche una sfida, doppia: scegliere il meglio con le risorse che si hanno a disposizione e cercare di aumentare le risorse stesse.


Anche alla luce di quanto detto prima, escludo che si possa intervenire nuovamente sul mercato. Non solo per motivi economici: io sono ancora convinto che abbiamo una buona squadra e tutte le possibilità per poterci giocare la salvezza.


Sono certo che loro sappiano ciò che sta succedendo. E penso che dei cambiamenti si siano intravisti, ultimamente».

C’è chi provoca: una retrocessione in A2 farebbe bene a questa società, dopo le vicissitudini degli ultimi anni. Meglio ripartire da zero.

E’ una grande cavolata. Come si fa ad aspirare al meglio, peggiorando? Dovesse succedere, Dio non voglia, affronteremo qualsiasi problema. Ma non vedo nessuna positività in un caso del genere…

È un punto di ri-partenza: in questo momento di difficoltà le energie sono state catalizzate da altre priorità, però sul piano marketing siamo andati avanti e abbiamo ben chiaro ciò che si deve fare nel futuro.

In vista non sembrerebbe esserci nessuno. E, dovesse passare, non spetterebbe a me decidere. L’offerta di Gianfranco Ponti due anni fa? Personalmente ho ritenuto e ritengo ancora che quella non sarebbe stata la situazione ideale per la Pallacanestro Varese. Resto nella metafora: quando il transatlantico se ne va, a te cosa rimane? Più nulla. La strada è allora quella dell’unione di più sponsor, quella del Consorzio: se qualcuno va via, rimane qualcun altro a garantire la sopravvivenza.

Personalmente ne sono convinto. Si deve iniziare a pensare alla Pallacanestro Varese come una società in cui chi investe più soldi degli altri deve contare di più.