Una presentazione ufficiale, che venga officiata in un torrido ufficio di piazza Monte Grappa, in una kasbah di Marrakech o in un’arena da 20mila posti a sedere del Massachusset, consta ovunque di rituali sempre verdi, frasi di circostanza ed emozioni accuratamente plastificate. Poco male. Frasi come «Non vedo l’ora di iniziare questa nuova avventura» o «Sono molto felice di essere tornato» scorrono lisce verso l’interlocutore, che se le aspetta come il caldo a Ferragosto pur accogliendole con atarassica non curanza.
Talvolta, però, il copione ti riserva parole, attimi e smorfie capaci di catturare un’attenzione vera e di significare qualcosa di importante nell’economia di una storia che scrive le sue prime pagine.
Nel caso di Eric Maynor, guida designata della banda Moretti versione 2016/2017, ieri alla sua prima comparsata davanti a microfoni e taccuini, succede qui: «Poter recuperare adeguatamente dall’infortunio ha pesato tanto nella scelta. Qui a Varese c’è gente che mi conosce e conosce il mio fisico, a partire dal preparatore atletico Marco Armenise. Questo particolare mi ha invogliato molto».
Questo particolare, più che altro, descrive alla perfezione il patto con il diavolo, l’all-in sul tavolo di un’intera stagione. Di Maynor con la Openjobmetis e della Openjobmetis con Maynor. Il primo si affida anima e corpo a chi lo ha rimesso in piedi già una volta, nel tentativo di riannodare i fili di una carriera azzoppata da un altro brutto e sventurato infortunio. La seconda conta di riuscire nell’intento, come già successo nella prima parte del 2015, puntando tutto sulle ginocchia di cristallo di un giocatore dalla classe abbacinante e sperando di trovare – alla fine della cura – un campione che a questi lidi (e scriviamo di Italia, non solo di Città Giardino) nessuno si potrebbe permettere, nemmeno l’opulenta Milano targata Armani.
É allora quasi dolce, all’alba di una scommessa del genere, ricordare come e dove tutto è iniziato. ovvero in una palestra alla periferia di Las Vegas «No, non mi aspettavo di trovare Max Ferraiuolo a vedermi – racconta con onestà il regista di Raeford – Io ero lì per mettermi in mostra e per far vedere a tutti che stavo bene. Max mi si è avvicinato e mi ha detto subito: dai, torna a Varese. Poi ha iniziato a parlare con il mio agente e siamo arrivati a oggi».
A una squadra,cioè, che accoglierà lui e anche due giocatori che a lui, per ragioni diverse, sono collegati: «Melvin Johnson ha frequentato la mia stessa università, dove è stato leader ogni tempo nel tiro da fuori. È un tiratore micidiale, non vedo l’ora di giocarvi insieme. Eyenga? Sappiamo che aiuto ci può dare su entrambi i lati del campo». Eric ha già parlato con coach Moretti («Non siamo ancora entrati nei dettagli, ma mi ha dato un’infarinatura di ciò che si aspetta da me»), si sente bene («le sensazioni in campo sono buone, sarò pronto per il primo impegno ufficiale») e s’ingrazia i tifosi («il loro calore è un altro dei motivi che mi hanno spinto ad accettare la corta biancorossa»).
Parola a Claudio Coldebella, in conclusione: «Di Eric mi colpisce la leadership. Io guardo la persona, oltre al giocatore e lui è leader sempre: dà il “5” ai giovani, incoraggia i compagni fin dal riscaldamento, sta in mezzo a loro. Per un playmaker è fondamentale. Se poi sa fare anche canestro – sorride il dg – è anche meglio». E l’ex Utah, Oklahoma, Portland, Washington e Philadelphia, lo sa fare eccome. Scomettiamo?