Ci sono volute ben 142 segnalazioni alle forze dell’ordine, accumulate tra il 2018 e il 2025, per arrivare all’espulsione di un 23enne marocchino residente in provincia di Sondrio. Solo ora, dopo una serie sconcertante di reati e violazioni, lo Stato ha deciso di intervenire con un provvedimento definitivo: rimpatrio coatto e divieto di rientro per 15 anni.
Il giovane era arrivato in Italia nel 2012, a soli dieci anni, con un permesso per motivi familiari. Ma ben presto la sua presenza si è trasformata in un problema costante per la sicurezza pubblica. Già da minorenne aveva collezionato infrazioni e procedimenti penali: furti, rapine, estorsioni, aggressioni, resistenza a pubblico ufficiale, fino alla ricettazione, guida senza patente, porto d’armi improprie e persino sostituzione di persona. A ciò si aggiungono ripetute violazioni della sorveglianza speciale, misura che era stata applicata proprio per limitarne i movimenti e l’attività delinquenziale.
Eppure, nonostante l’elenco interminabile di reati e l’inefficacia delle misure precedenti, ci sono voluti anni e oltre un centinaio di interventi per arrivare all’unica scelta di buonsenso: l’espulsione.
Una vicenda che, inevitabilmente, lascia l’amaro in bocca. Perché l’impressione è che chi delinque – soprattutto se straniero – possa sentirsi al sicuro, libero di fare ciò che vuole senza conseguenze immediate, con il rischio che il senso di impunità si diffonda anche tra altri soggetti ad alto rischio.
A firmare l’espulsione è stato il questore di Sondrio, Sabato Riccio, che ha disposto l’accompagnamento alla frontiera. Il 23enne è stato condotto dagli agenti dell’Ufficio immigrazione e della Squadra mobile all’aeroporto di Milano Malpensa, dove è stato imbarcato su un volo diretto a Casablanca. Ora, per legge, non potrà più rientrare in Italia fino al 2040.
Ma la domanda resta: doveva davvero arrivare a 142 segnalazioni perché qualcuno si decidesse a intervenire?