VARESE – La nevicata del 1985 fu per tutti noi un momento unico. I più piccoli si ritrovarono con le scuole chiuse, ore e ore per scivolare sulle strade congelate dopo essere state spazzate. I “grandi” si ritrovarono con del tempo per giocare con i figli. Tra chi faceva a pelle di neve, chi spalava l’ingresso di casa, chi camminava ridendo e affondando sino a mezza coscia in quel bianco ovattato e silenzioso che quasi ti dispiaceva sporcare.Ma poi, poi c’era quella tentazione di lasciare un’impronta, anzi un buco, e ridere riguardando i propri passi. Quel momento oggi compie trentuno anni, magari
di nevicata così ne avremo un’altra, ma non saremo in grado di essere così bambini per godercela sino in fondo. E allora, noi oggi, vogliamo usare quella nevicata come fosse una delle petite madeleine di Proust e farci raccontare da voi perché ancora ricordate quel profumo di gelo. E oggi lo facciamo con qualcuno di speciale. Con un ricordo originale, particolare che difficilmente può accadere a chi non è un giornalista., oggi caporedattore del Corriere della Sera, giornalista varesino stranoto a livello nazionale, visse quella nevicata «da giovane praticante del quotidiano La Prealpina – racconta – Avevo 24 anni».
Come ogni bravo cronista che pratica la gavetta a fronte di un fatto così eccezionale come quella nevicata Del Frate fu «mandato fuori per un servizio». «Precisamente – spiega – dovevo controllare se le strade di Varese fossero pulite e percorribili dopo quella nevicata».
Del Frate lo fece saltando in macchina:«Ed ebbi un incidente – racconta oggi sorridendo – Scivolai sulle strade innevate e uscii di strada. Non mi feci male, ma ebbi la prova che no, le strade di Varese non erano affatto pulite e percorribili».
Lo dice, Claudio, con quella malinconia che ti prende quando racconti momenti che ti rimangono nel cuore. Perché era all’inizio, perché affrontavi un lavoro che ancora oggi ami, perché in fondo in quello scenario non ti sembrava davvero di lavorare. E allora oggi, 31 anni dopo, quello che aridamente si potrebbe definire un incidente in servizio diventa qualcosa da ricordare sorridendo. «Sospesero il Falò di Sant’Antonio perché piazza della Motta era invasa dalla neve – aggiunge Del Frate, dando comunque da vero cronista una notizia – E noi facemmo dei pupazzi di neve al posto del falò stesso».
Del Frate ricordando quella nevicata cita realtà che oggi non ci sono più: «Da giovani bohemien – spiega – andavano a pranzo al ristorante Marruecos in via Dazio Vecchio. Un ristorante che oggi non c’è più. Lo facevamo perché tornare a casa, andare avanti e indietro, in mezzo a tutta quella neve, era impossibile». E allora c’erano le discussione nel tepore del locale, dopo aver raccontato tutto quel gelo. Ci sono ricordi da ragazzi e ricordi da bambini. «Io ricordo – scrive il nostro lettore – della discesa ai Giardini Estensi con il bob assieme a mia sorella».
C’è chi da adulto oggi ricorda con gli occhi del piccolo il papà eroe che sfidava quelle montagne di neve. C’è chi ricorda la neve palata, o chi, come qualche vigile del fuoco rammenta di aver passato giorni in cima a un’autoscala a togliere neve dai tetti perché pericolante oppure perché appesantiva troppo alcune costruzioni. E poi via, in strada,
a soccorrere i mezzi pesanti che in quel bianco pattinavano rimanendo bloccati. E voi? Come ve la ricordate quella grande nevicata? Che immagini avete? Con chi l’avete condivisa? A cosa associate tutto quel bianco silenzioso? Mandateci le vostre storie e soprattutto le vostre fotografia in mezzo a tutto quel candore all’indirizzo [email protected] oppure sui nostri canali social.
Condividete un pezzettino della vostra petite madeleine con noi. Sapremo apprezzarlo. n