Fatelo anche in serie A e sarete degli eroi

Anno nuovo, vecchi moralismi. Mettiamo subito le cose in chiaro: totale solidarietà a Boateng, a tutto il Milan e a chiunque subisca offese inutili e gratuite, allo stadio come in qualsivoglia altro luogo o situazione. Ma se il razzismo è ignoranza allo stato puro (e fin qui non ci piove), è altrettanto ignorante fare di tutta l’erba un fascio e puntare a prescindere il dito contro tutto e tutti perché il perbenismo lo impone.Spendere parole e giudizi per chi ha intonato quei “buuuu” allo “Speroni” equivale a dargli un’importanza di cui non sono degni.A chi giova sottolineare che è sbagliato, che è incivile, che non è sportivo? È talmente ovvio che a spiegarlo si sminuisce la capacità di intendere e volere di chi ci sta ad ascoltare. Ma giova ancora meno a chicchessia l’atteggiamento di Kevin Boateng, che scaraventa il pallone in faccia alla gente e se ne va offeso senza neanche stare ad ascoltare l’arbitro, decidendo da solo che la questione è chiusa lì. Infrangendo quindi un regolamento.Chi frequenta gli stadi sa cosa si sentono vomitare addosso (ingiustamente e insopportabilmente, ça va sans dire) i giocatori di ogni razza e colore. Quanti “zingaro” si è preso lo svedese Ibrahimovic? Quanti insulti si è preso Muntari (anche lui in campo a Busto, per la cronaca)?Ma soprattutto, senza questo baillame qualcuno avrebbe annotato quegli sparuti ululati? Difficile da credere. E allora giusto indignarsi, ma perché solo ieri? Vero, si potrebbe altrettanto obiettare: perché no? Perché noi non ci caschiamo.Applaudiremo, senza se e senza ma, un simile gesto di Boateng e dei suoi compagni il giorno in cui lo faranno davanti a ottantamila persone in un derby a San Siro. O quando con

un “Gran Rifiuto” zittiranno curve come quelle dell’Olimpico, del Bentegodi, di Torino. Fatelo lì, andatevene da un campo dove ci sono tre punti (o, chissà, uno scudetto o una coppa) in palio e allora sì che avrete cambiato la storia. Busto non merita lezioni di cultura sportiva. Una città dove il calcio è una gloriosa fede tramandata di generazione in generazione. Dove c’è una realtà come la Yamamay esempio di sportività in tutta Italia. Dove è nato e vive un campione come Gianluca Genoni. Dove è radicata la tradizione di uno sport nobile e antico come la scherma. Bastano come esempi? Potremmo andare avanti per pagine intere.In queste ore il carro dei censori è sovraffollato, ma spesso un bagno di realtà è molto più edificante. E certamente meno ipocrita. Cosa si dicono tra di loro i giocatori avversari quando sono in campo? Quante provocazioni, quanti insulti volano tra un cross e un fallo a gamba tesa? È vero, il mondo si migliora con i piccoli gesti. Ma non è questo il caso. Stavolta il rischio è quello di aver dato un’eco spaventosa a quattro voci fuori dal coro, infangando con cotanta platealità l’onore di una città che non merita una simile ribalta. In fondo è comodo fare gli eroi quando non si rischia niente. E a ben guardare, cari calciatori, è razzista anche il vostro negare un autografo o una foto ai tifosi, come spesso accade.Ora pagherà la Pro Patria per una scemenza commessa da gente che magari passava dallo “Speroni” per sbaglio. È giusto tutto questo? Anche no. E chi se ne frega se non sta bene dirlo. Noi della pubblicità non sappiamo proprio che farcene. Qualcun altro evidentemente sì.Federica Artina

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