di Stefano Affolti
La surreale litigata tra Ebagua e i tifosi della curva durante Varese-Pontisola di domenica sera non va ingigantita, ma neanche presa sottogamba. Soprattutto, non dev’essere un alibi per prendere decisioni affrettate sulla sorte del giocatore, rientrato dal Toro ma non ancora certo di rimanere in biancorosso.
Dalla curva hanno intonato cori razzisti e Giulio ha reagito a gestacci, non prima di aver segnato un gol fondamentale per il passaggio del turno. L’episodio, spiacevole, ha un lontano precedente: dieci anni fa accadde qualcosa di simile ai fratelli Benhassen, franco-marocchini che nella sciagurata era Turri subirono, insieme al portiere di colore Ebouè, una spirale di odio culminata nell’aggressione fisica al ritorno da una trasferta. Anche allora lo stadio si spaccò in due: i pochi contestavano e i tanti rimbeccavano i contestatori.
Stavolta, per fortuna, il chiarimento c’è stato prima della definitiva deflagrazione: gli ultras hanno atteso Ebagua fuori dagli spogliatoi e si è firmato l’armistizio. Quanto durerà? Bella domanda: sarebbe bello rispondere «fino al prossimo gol», perché nel calcio, si sa, i gol sono colombe di pace. Intanto, i cori costeranno alla società una sonora multa e le sono già costati una solenne figuraccia.
La faccenda è delicata e va gestita bene. La tempestiva presa di posizione di Rosati, e quindi della società, è diplomatica nei toni ma netta nella sostanza: difende Ebagua e mette al loro posto gli ultras. Il nigeriano ha già giocato qui, e non da comprimario: enorme il suo contributo alla scalata sanniniana, con punte da visibilio come il gol di tacco al Siena. Appena lo vide, Ricky Sogliano disse «è uno da serie A». Nella sua prima vita in biancorosso non era mai stato preso di mira così: il passaggio al Torino, e alcune dichiarazioni improvvide, gli hanno alienato le simpatie di qualcuno.
Il personaggio è certo spigoloso, ma coerente e spaventosamente orgoglioso. Mentre era lontano (ma sempre in comproprietà) non ha dispensato carezze, però è fatto così, la diplomazia non gli appartiene.
La domanda da porsi, per uscirne, è semplice: qual è il bene del Varese? Perché questa è la stella polare da seguire, altrimenti per tappare una falla se ne aprono cento e la nave affonda.
La risposta è già negli eventi appena consumati: senza il suo gol, piaccia o no, si perdeva col Pontisola e si usciva ignobilmente dalla Coppa Italia contro una meravigliosa ma onesta squadra di dilettanti. Quindi Ebagua è importante? Sì. Se ne può fare a meno? Probabilmente no.
Al momento la squadra di Castori ha solo tre giocatori in grado di marcare la differenza: oltre a Giulio, ci sono Neto e Zecchin. In un organico che ha perso gente del calibro di Rivas, Kurtic e Terlizzi, giubilare uno di questi pilastri sarebbe puro masochismo, un pericoloso azzardo al ribasso dalle conseguenze tecniche potenzialmente devastanti.
Chiunque capisca di calcio sa che Giulio è un istintivo devastante. Se è sereno e fisicamente sta bene, è già una forza della natura che vale quindici gol a stagione: figurarsi se è arrabbiato, come adesso che si trova a ripartire da capo, a dover ridimostrare tutto quel che ha già dimostrato, addirittura a lottare contro una fetta dei suoi stessi tifosi.
Ai suoi quindici gol il Varese non può rinunciare: né in questa fase di rodaggio, né, a maggior ragione, in campionato. Come non può rinunciare alla serenità dell’ambiente: sia chiaro che il Varese viene prima di tutto il resto.
e.marletta
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