Varese – Da tempo le associazioni di categoria ribadiscono la necessità di porre dei correttivi agli studi di settore: «Servono degli adeguamenti per adattarli a questo momento economico così particolare» spiega Roberta Tajè, direttore della Cna varesina «perché così come sono concepiti ora, gli studi di settore risultano dei modelli astratti che faticano ad adeguare i parametri alla nuova realtà» .
I correttivi, aggiunge Tajè «devono essere anche di natura territoriale che tengano conto delle rispettive specificità».
Sono un’iniziativa di alcuni anni fa «nati di comune accordo con le associazioni – aggiunge Gianni Lucchina, direttore della Confesercenti varesina – oggi però sono usati come un bancomat dal fisco». Mentre erano nati per avvicinare i contribuenti ad esso «ora sono diventati strumenti insopportabili e sono vissuti come un vero problema».
E le parole di un imprenditore confermano: «Gli studi di settore sono nati male – commenta Giacomo Ciriacono, della Ciriacono srl di Busto Arsizio – sono fatti di statistiche rigide, sono fatti per le grandi attività, mentre le piccole aziende fanno tutt’altri numeri». Il problema, sottolinea l’imprenditore, «è la mancanza di flessibilità: non sono stati capaci di adeguarli al cambiamento del sistema e così come sono concepiti ora ci trovano tutti fuori dai parametri».
La difficoltà principale, aggiunge Ciriacono, «sta poi nel dimostrare che la nostra realtà e i nostri numeri sono diversi da quelli rigidi degli studi di settore». E dimostrare di essere nel giusto comporta una complicazione in più «che ci porta via altro tempo, aggiunge burocrazia e sottrae tempo utile al nostro lavoro».
p.rossetti
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