Varese – Lo sport è sempre stato terreno fertile per i luoghi comuni e le frasi fatte. Una delle più abusate: “si vince perché questa squadra è un grande gruppo”. Ogni volta che arriva un filotto di vittorie, c’è qualcuno che tira fuori la storiella dei giocatori che sono tutti amici e che in campo si trovano come nella vita: nove volte su dieci, non è così. Certo, poi c’è la
classica eccezione che conferma la regola: quel caso in cui i giocatori sono amici per davvero, e le vittorie si costruiscono nelle quattro mura dello spogliatoio. E, secondo noi, è il caso della Varese di quest’anno. Max Ferraiuolo conosce i giocatori biancorossi meglio di chiunque altro: praticamente frequenta più spesso loro che la sua famiglia. E davvero non c’è persona migliore, per farsi raccontare cosa c’è dietro all’essere squadra di questa Cimberio.
«E’ successo – racconta il team manager – quello che a volte accade nella vita: si incontra una persona e scatta la scintilla, ed è amore a prima vista. Non c’è una spiegazione razionale, non c’è un motivo: c’è che succede e basta, e una volta che è successo non se ne esce più». Colpo di fulmine, per ogni giocatore: «Io credo che galeotta sia stata la settimana di ritiro passata a Scopello: giorni difficili perché si schiattava di caldo e si lavorava comunque duramente. Evidentemente la situazione particolare ha fatto scattare quella scintilla, e noi ce ne siamo resi conto subito da una serie di piccoli segnali. I ragazzi che si divertivano nelle partitelle di allenamento e nelle gare di tiro, la voglia di vincere sempre fin dal primo allenamento, le corse tutti insieme al ruscello per immergere le gambe doloranti nell’acqua ghiacciata dopo ogni seduta di lavoro, l’unica gelateria del paesino che ogni sera vedeva tutti i giocatori insieme per un’oretta di svago». L’aria di Scopello, evidentemente, è rimasta addosso a ognuno visto che le cose non sono cambiate. «Vero – continua Ferraiuolo – è ancora così: ogni scusa è buona per costringere il malcapitato di turno a pagare la pizza a tutti, alla Botte. Una maglietta dimenticata, oppure il classico dei classici: il ritardo. Nel senso che se qualcuno arriva all’allenamento sul filo di lana, i suoi compagni spostano in avanti di qualche minuto l’orologio dello spogliatoio in modo da dilatare il ritardo. Quando il ritardatario entra, parte il coro: “Pizza, pizza, pizza”». Tutto questo, poi, si traduce sul campo: «Ogni giocatore è pronto a sacrificarsi per il suo compagno: in difesa, ma anche in attacco dove tutti si cercano e non esistono gli egoismi. Vitucci è stato magistrale nel capire subito l’atmosfera che si stava creando, e nel cavalcarla».
Andando a spiare dentro i muri dello spogliatoio, nel rispetto di quello che resta un luogo sacro dal quale nulla deve trapelare, si può capire qualcosa in più sul carattere di qualche biancorosso. «Ebi Ere – racconta Ferraiuolo – è il più matto di tutti: da fuori sembra così serio, invece è il primo a scherzare e a giocare. Un grande, numero uno: a Trapani dove eravamo andati a giocare un torneo, è uscito a mezzanotte dalla camera d’albergo con la macchina fotografica: voleva andare in spiaggia a fotografare gli squali». In ogni spogliatoio che si rispetti, c’è il giocherellone e c’è quello sempre serio: «In teoria il
nostro musone è Dunston, che è oggettivamente il più introverso: invece la realtà dice che anche lui si è fatto trascinare dall’entusiasmo dei suoi compagni. Green invece si è preso sulle spalle la responsabilità della crescita di Polonara, e lo “cazzia” sempre: in maniera positiva e costruttiva, tanto che Achille accetta sempre di buon grado. Bellissimi poi gli scontri tra Green e De Nicolao: due agonisti che in allenamento se le danno di santa ragione, e poi vanno in spogliatoio insieme». L’unione che fa la forza: «E sono certo – conclude Max – che questa sarà la nostra forza anche quando arriveranno i momenti duri e le sconfitte».Francesco Caielli
p.rossetti
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