«Guardo mio nipote e vedo la purezza che ci serve»

L’intervista a Pietro Carmignani, ex portiere ed ex allenatore del Varese, cuore biancorosso doc

Pietro Carmignani è profondamente amareggiato per la situazione in cui versa il suo Varese. Anche se ha seguito le ultime vicende societarie «soprattutto attraverso i giornali», nelle vene del popolare Gedeone scorre pur sempre sangue biancorosso.


Questa situazione nasce da lontano. Bisogna risalire ai tempi della gestione Rosati-Montemurro, positiva sul piano dei risultati sportivi, non altrettanto sotto l’aspetto amministrativo. Posso solo dire di essere dispiaciuto per quello che sta accadendo.


Quella della Lega Pro mi pare proprio un’ipotesi remota: il Varese può andarci solo col pensiero, temo. Teniamo presente che 4 punti di penalizzazione sono già tanti. A questo punto l’unica salvezza sarebbe l’arrivo di qualche imprenditore che paghi gli stipendi attuali e arretrati, che sia in grado di ripianare il debito e garantire un futuro solido. Ma se queste forze locali, nonostante l’impegno del sindaco, non sono saltate fuori fino a oggi, mi pare improbabile che possano palesarsi ora.

È naturale che chiedano serietà e onestà. Quelli sono requisiti indispensabili in tutti i campi della vita. Attenzione, però: anche in serie D, non solo in Lega Pro, servirebbe gente disposta a investire, meglio se del territorio. Ma finora non si è fatto avanti nessuno.


La base di tutto è sempre la società. Tutto parte dalla vetta, nel bene e nel male. Le ragioni dei successi e degli insuccessi vanno ricercate in primis in chi comanda. Quindi la cosa più importante è avere una società seria e solida. Dopo di che, con un allenatore bravo e giocatori adatti alla categoria, è possibile risalire in B anche nel giro di due o tre anni.


Già, ma è anche vero che non è facile trovare un altro Sogliano. E, come dicevo, anche per fare la D serve gente disposta a metterci soldi, non è che sia gratis. L’impegno economico è inferiore a quello della Lega Pro, ma non irrisorio: bisogna pagare trasferte, giocatori, staff tecnico, collaboratori.


Avevo semplicemente osservato che con Ghirardi si dovesse stare all’erta: troppe cose non quadravano. Poi è successo quel che è successo, ed è un peccato per una piazza come Parma. Ma adesso dobbiamo pensare al Varese, e mi lasci dire una cosa.


Ho un nipotino di sei anni che frequenta la scuola calcio di Marco Caccianiga. Lo accompagno io al campo, perciò vedo come si lavora nel vivaio del Varese: con quale passione, intelligenza, capacità insegnino ai bambini a giocare a pallone, educandoli nello stesso tempo. Ecco, pensare che tutto questo potrebbe finire mi addolora molto.


Invece è un aspetto fondamentale. Ho negli occhi l’entusiasmo di questi bambini quando vanno ad allenarsi: già dal mattino cominciano a sognare ad occhi aperti il momento in cui giocheranno con i loro maestri, coordinati da quella stupenda persona che è Caccianiga. Mi amareggia enormemente sapere che il suo lavoro possa essere interrotto.


Sarò di parte, ma il calcio per me è lo sport più bello e puro del mondo. Purtroppo alcune persone, gestendolo in maniera sbagliata, rischiano di rovinarlo, ma resta uno sport stupendo. Basta guardare gli occhi di quei bambini.