Ha ancora senso parlare di “provincia di Varese”?

Busto Arsizio cresce e si impone come nuovo baricentro del territorio, mentre Varese perde abitanti e identità. La prossima sfida elettorale sarà tutta sul rilancio del capoluogo, oggi in crisi di visione e di orgoglio dopo 2 mandati di Galimberti.

C’è un dato che fotografa con crudele precisione la realtà: Varese ha perso 223 abitanti in soli sette mesi, mentre Busto Arsizio supera quota 84 mila residenti, allungando il passo e conquistando, nei fatti, il titolo di vera capitale del territorio. E allora la domanda sorge inevitabile:
ha ancora senso chiamarla “provincia di Varese”?

Un tempo sì. Varese era il centro amministrativo, culturale, politico e persino morale della provincia. La “Città Giardino”, elegante, civile, benestante. Oggi quella città non c’è più. È rimasto il nome, ma l’identità si è dissolta, consumata tra servizi costosi, collegamenti ferroviari da anteguerra e un senso diffuso di declino.

Mentre Busto investe, costruisce, attrae imprese e famiglie, Varese sopravvive, imprigionata in un eterno dibattito tra nostalgia e immobilismo. Eppure, nonostante la crisi, il capoluogo continua a considerarsi tale per diritto storico più che per vocazione attuale. Ma una città non è capoluogo per tradizione: lo è se riesce a guidare, ispirare e trainare il territorio.

Oggi accade l’opposto: è Busto Arsizio, non Varese, ad essere la città più viva, più produttiva, più popolata e più proiettata al futuro.

E questa realtà — fredda, ma innegabile — peserà inevitabilmente sulla prossima campagna elettorale. Perché a Varese, nel 2027, il voto si giocherà tutto sul tema dell’identità. Un’identità smarrita, da ritrovare.

Il giudizio sui due mandati di Davide Galimberti non serve cercarlo nei discorsi o nelle celebrazioni, ma nei numeri: a Varese si muore più di quanto si nasca, e da Varese si fugge. Galimberti avrebbe voluto e dovuto ridare slancio a una città impigrita, dopo tanti anni di governo leghista. I dati demografici, però, implacabili e cinici, parlano più di qualsiasi slogan politico.

E allora la sfida per chi aspira a guidare il capoluogo sarà proprio questa: scaldare i cuori dei varesini con un sogno nuovo, capace di restituire alla città ambizione, orgoglio e speranza. Vincerà chi saprà disegnare l’idea di una Varese che voglia tornare grande, moderna, inclusiva, e che soprattutto si meriti davvero il titolo di capoluogo.

Perché oggi, piaccia o no, quel titolo esiste solo sulla carta.