«Ho una dignità, non dico “signor Sì”. Non mi pento. E vado via a testa alta»

Ciccio Baiano, esonerato, lascia il Varese deluso e amareggiato: «Cacciato per aver detto la verità»

Ciccio Baiano, esonerato lunedì sera, ha dovuto lasciare Varese e il Varese. Con il cuore pieno di delusione, di rabbia. Se ne va, dopo cinque mesi intensi, vissuti sul campo, sugli appunti e sui libri. Se ne va, al termine di un mese e mezzo di tumulti e veleni, di difficoltà e assenze, rimasto solo con i suoi ragazzi, da allenare e ascoltare, motivare e comprendere, gestire e capire. Ieri Baiano è passato per l’ultima volta, intorno alle 13, al Franco Ossola:

per prendere le sue cose, per salutare chi ha condiviso con lui questi cinque mesi in biancorosso e con cui il rapporto proseguirà oltre il calcio, oltre le maglie. E ieri ha anche salutato il collega – e amico – Stefano Bettinelli, contattato dopo il taglio di Baiano per raccoglierne il testimone. Pranzo in città, poi la partenza per tornare a casa, dalla famiglia. Lasciando Varese e il Varese. Con il cuore pieno di delusione, di rabbia. Ma a testa alta.


Sono deluso. Amareggiato. Una proprietà può decidere se continuare un rapporto o meno. Ma c’è modo e modo. E questo è stato sbagliato, perché sono stato buttato fuori perché, con uno sfogo, ho portato alla luce delle situazioni che accadevano da tempo e che nulla c’entrano con il calcio: stipendi non pagati, affitti non pagati, ristoranti non pagati. Come si fa a fare calcio così? Ho denunciato questa cosa e a Paolo Basile non è piaciuta perché è abituato a gente che gli dice sempre “signor sì” e nasconde la polvere sotto i tappeti. Poi, l’attacco di Aldo Taddeo è da mettersi le mani nei capelli: ha parlato di Scandicci, di cinque mesi non pagati, ma si è dimenticato che poi a Scandicci è arrivata una persona seria, che ha messo i soldi, pagando i debiti in una settimana, e che poi quella squadra è arrivata ai playoff. Ha poi aggiunto che ci sono squadre che vanno bene pur non pagando gli stipendi: quali sono? Ha cercato, insomma, di far passare per normale che le squadre non paghino gli stipendi, un autogol incredibile: a questo punto posso solo dire “in bocca al lupo, Varese”, preferisco stare molto lontano da certe situazioni e da certe persone. E me ne vado a testa alta.

Dopo Casale ero sicuro che se fosse tornato in sella Basile sarei stato mandato via. Non mi ha dunque meravigliato. La mia esperienza di 40 anni nel mondo del calcio mi fa capire subito i momenti. Ma preferisco essere così che abbassare la testa. Mi sarei aspettato un confronto di persona, che non c’è stato: tra persone serie si fa così. E mi si parlava di amicizia… Ma anche tra amici si litiga: ognuno ha il suo pensiero, ci si guarda negli occhi e ognuno dice la sua. I veri amici

che ho nel mondo del calcio sono quelli con cui ho più litigato: ma sempre faccia a faccia. In più, quando a Casale ho raccontato ciò che stava accadendo, quando ho detto la verità, non l’ho detta contro nessuno: ho solo spiegato la situazione in cui eravamo. In più, mi chiedo: dopo tante promesse fatte a più riprese e mai mantenute ti tiri fuori, con la proprietà in mano, abbandonando la squadra. E poi ce la si prende se si porta alla luce questa situazione che è sotto gli occhi di tutti?

No, assolutamente. Se Basile è abituato a gente che dice sempre “signor sì” con me ha sbagliato persona: io ho una dignità, che non si può comprare. E posso permettermi di non dire sempre “sì”. Il problema è che avere a che fare con gente che non ha mai fatto calcio, che non ha etica calcistica, è durissima. E se una persona non mi sta simpatica non faccio finta di niente e ci vado a cena. Le persone le scelgo io: sono amico di Enzo Rosa, e sono orgoglioso di essergli amico. Forse a lui dava fastidio. Ma gli amici gli scelgo io e non li scelgo per il portafoglio che hanno. No, assolutamente, non mi pento perché quando ho fatto quella sfuriata non ce l’avevo con nessuno, ho cercato solo di smuovere le acque: così non si poteva andare avanti. Se poi Basile o Taddeo si sono sentiti tirati in causa, vuol dire che hanno la coda di paglia.

Mi ha chiamato la bandiera del Varese, Merlin, e mi ha comunicato che ero stato sollevato dall’incarico. E, a detta sua, me lo comunicava a malincuore: una bugia. Nelle tre settimane in cui è stato allontanato ha parlato con tanti dei miei calciatori, che me l’hanno riportato, cercando di insinuare cose brutte, dicendo cose che non facevano bene al gruppo, provando a mettere zizzania. E si cercava un appiglio, uno straccio di qualcosa. Ma sono stati rimbalzati da quasi tutti, escluso eventualmente chi avrà pensato che con un nuovo allenatore poteva riavere possibilità di giocare…

Alla fine di ogni allenamento che faccio vado a casa e mi guardo allo specchio e sono sincero con me stesso. Errori ne ho fatti, certo. In buona fede: non ho mai garantito il posto a nessuno. Sceglievo per quello che vedevo in allenamento. Ho sempre cercato di mettere in campo la miglior formazione e una media di 1,7 punti a partita, considerando anche questo ultimo mese e mezzo, prima del quale eravamo in testa alla classifica, non credo sia da buttare nel cesso. Anche perché nessuno potrà mai dire che questa squadra fosse costruita per vincere. Tanti allenatori che abbiamo affrontato mi hanno detto che a centrocampo avevamo un problema. Vero, tanto che fu una delle mie prime richieste: ma la squadra la fa il direttore, non il mister. Intanto però ho creato un gruppo, che non è una cosa semplice. I ragazzi mi hanno dato l’anima, sempre: mi prendo l’1% dei meriti di quanto fatto, il resto è tutto dei miei giocatori che hanno sempre messo il cuore. Ho la presunzione di dire che tanti giocatori sotto la mia gestione sono migliorati: alcuni di loro quando sono arrivati venivano fischiati appena toccavano la palla, ora sono giocatori impeccabili. Uno su tutti? Rolando: giocatore straordinario. Lui, come tutti quelli che con me giocavano: inutile fare la sfilza di nomi. Chi non giocava è perché non lo meritava: io non faccio regali a nessuno.

Bello. Sono partito, andando a 350 chilometri di distanza, lasciando la mia famiglia: l’ho fatto per il Varese e per Varese, una piazza meravigliosa come ricordavo dopo essere stato qui. E so benissimo che ricopro un ruolo particolare: l’allenatore è lì per prendere elogi e critiche. Lo so benissimo e va bene così, non ho mai dato peso a questo: per me contavano solo i miei ragazzi. Quante volte in sala stampa ho detto: “mi prendo le mie responsabilità, ma non toccate i miei calciatori”? Ho cercato di proteggerli in tutti i modi. Ma quando poi si è arrivati al punto in cui non prendevano i soldi e venivano buttati fuori di casa, l’allenatore non può farci molto: avevo in mano lo spogliatoio e abbiamo resistito finché è stato possibile.


Sì. Gli ho parlato del gruppo, dei ragazzi, del loro grande spirito e atteggiamento. Paradossalmente si è anche scusato con me perché arriva “al mio posto”: a me è successo lo stesso con Ramella, persona e allenatore che stimo. Qualcuno ci rimase male in quell’occasione, ma la realtà è che la decisione era stata presa e se non fossi arrivato io sarebbe arrivato un altro. E in questo caso la situazione è la stessa. Bettinelli è un professionista e avrà queste due settimane per preparare la squadra alla volata finale. Sono convinto che farà bene: ho passato un anno insieme a lui, è un bravo tecnico e una brava persona. Lo stimo.