«I miei traguardi non sono cambiati Hanno soltanto un colore differente»

Ivan Basso pedala, non si ferma più. Sale e scende dal Sacro Monte, dal Campo dei Fiori. Musica alle orecchie, per caricarsi. I luoghi di una vita, le salite consumate durante migliaia di allenamenti. Pedala per riprendersi ciò che negli ultimi tre anni gli è sfuggito. La condizione, la fiducia. Ciò che però non è mai mancato è la voglia di salire in bicicletta, quell’amica fraterna, una sorella. E lo farà per altri due anni, per chiudere in grande stile, con una nuova maglia. Per chiudere alla Ivan Basso. Ora però, c’è una stagione da concludere, in casa. Entra in redazione in divisa da corsa, non c’è tempo per riposare.

Certo, dovrei partecipare a tutte e tre le corse del trittico lombardo. Se dovessi decidere di saltarne una, non sarebbe comunque la Tre Valli Varesine. Troppo bella per non correrla.

Non abbiamo ancora stabilito il calendario per il finale di stagione. Penso però che potrei chiudere la stagione al Giro di Lombardia, altra corsa dal fascino assoluto.

Strano, ma lo sto vivendo bene. Vado via da un gruppo, una squadra che smetterà di esistere, ci divideremo tutti quanti, ognuno per la sua strada. Chi come me, Sagan e altri, ha già trovato squadra e chi ancora sta cercando una sistemazione. Noi del gruppo storico ci stiamo aiutando tantissimo, non è una situazione semplice.

E non so come sarà. Porterò con me tutto il mio bagaglio di esperienza, dopo 7 anni da capitano in una squadra italiana. Ho sempre fatto al massimo il mio lavoro, in allenamento ed in gara. E continuerò a farlo, con un ruolo diverso.

Dopo una carriera da capitano, è tempo di farsi da parte.

Un’esperienza ed un ruolo tutti nuovi. Ed è giusto così, ad essere sinceri. L’Ivan Basso capitano è ormai passato di moda, non ha senso continuare ad inseguire traguardi che non posso raggiungere. Faccio un passo indietro, mi metto a disposizione.

Sono sempre stato abituato a lottare per i grandi traguardi, per vincere i grandi giri. Ma non sarà più il mio compito alla Saxo Tinkoff, non mi hanno preso per questo e lo sappiamo tutti. Farò da chioccia a giovani come Majka, Kiserlovski.

Ad una certa età, quando i risultati non arrivano più, le ragioni sono due: il tuo fisico non regge più, oppure ti lasci andare e non ti impegni più a sufficienza per raggiungere quei risultati, smetti di fare “vita da atleta”. Io non ho mai smesso di allenarmi duramente, e la gente lo sa. Mi rendo solamente conto che alcuni obiettivi non sono più alla mia portata, come l’ultimo Giro d’Italia.

L’ho preparato addirittura meglio rispetto agli altri anni, oltre sei mesi di allenamenti per arrivare il più in forma possibile.Eppure andavo piano, e spiaceva di più ai miei compagni, che mi hanno visto faticare in ritiro per tutto l’inverno. Spiaceva a loro prima ancora che a me, perché mi vedevano giù di morale nonostante avessi lavorato sodo per il Giro. Ma non è stato questo il primo campanello d’allarme.

I primi dubbi sono sorti dopo il Giro del 2012, vinto a sorpresa da Hesjedal. In classifica generale chiusi quinto, ma restai in lizza per la vittoria finale fino allo Stelvio. Poi andò come sappiamo, ma alla fine di quel Giro iniziai a domandarmi se quel ruolo andasse ancora bene per me.

Non mi sono mai rimproverato nulla, perché ogni sera vado a letto sapendo di aver fatto il massimo. Non mi risparmio mai, e tutta la mia carriera è stata così. Tirare fuori da me stesso il massimo possibile. I tifosi lo sanno, non mi hanno mai criticato nemmeno in queste stagioni in cui i risultati non sono arrivati, perché mi sono costruito una credibilità. Mi vedono allenarmi duramente, sanno che mi impegno a fondo.

Soprattutto Sannino piace a me. Mi piacerebbe organizzare un confronto con lui per trovare punti in comune sulla gestione di una squadra di calcio ed una di ciclismo. Ho saputo che ha lasciato il Watford, mi spiace. Ma ora che torna in Italia, colgo l’occasione per invitarlo a seguire la Tre Valli Varesine in un’ammiraglia della Cannondale. Sarebbe davvero suggestivo.

Non lo conosco personalmente, ma tutti mi parlano bene di lui. Ricorda molto Sannino, ed è un gran paragone. Mi sento spesso con Gabriele Ambrosetti, mi parla del Varese e anche con lui mi confronto spesso sulla gestione del gruppo. Ho promesso che verrò allo stadio con mio figlio Santiago, credo già il 27 settembre contro il Trapani.

No, lui è un futuro calciatore. Anche se spesso lo porto a pedalare. Nella sua testa però c’è il pallone, è milanista come suo padre. A volte lo porto allo stadio a vedere il Milan, e spesso in bicicletta andiamo a Milanello con i suoi amici a vedere i calciatori che escono dopo l’allenamento. Il mio sogno è vederlo in Serie B con la maglia del Varese.

Anche nel ciclismo c’è una fuga di sponsor che è a dir poco drammatica. Mi piacerebbe lanciare un appello agli sponsor per investire nel ciclismo, c’è veramente bisogno. Le squadre costano, non è un impegno semplice mantenere corridori, strutture, staff medico e tecnico, gestire trasferte e ritiri.

Davide ha più di quarant’anni di esperienza nel ciclismo, è maniacale e vuole approfondire ogni singolo dettaglio. Anche quando era telecronista, spesso in partenza avvicinava i corridori per fare domande tecniche, sui rapporti o sui materiali, sull’alimentazione. Sa come impostare la corsa, non ha i Sagan o i Degenkolb, quindi la deve preparare in modo da far venire la febbre agli altri.

Era un personaggio enorme, anche nei momenti più bui del ciclismo sapeva rallegrare la gente. Non era mai distruttivo, trovava sempre il lato positivo. Era un magnete d’attenzione, quando parlava lui, in platea c’era un silenzio tombale.

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