Giampiero Marini è famoso per essere diventato campione del mondo in Spagna nel 1982 e i tifosi interisti lo considerano una bandiera, visto che ha vissuto la maggior parte della sua carriera da calciatore in nerazzurro, incominciando poi quella da allenatore con questi stessi colori. Il centrocampista aveva debuttato in Serie A il 6 ottobre del 1974 proprio al Franco Ossola, in occasione di Varese-Inter, gara vinta 2-0 dai biancorossi di Peo Maroso e Marini faceva parte della squadra che
si era imposta quel giorno entrato nella storia. Il giocatore è cresciuto infatti a Varese, dove ha svolto gli anni del settore giovanile. Nel 1969-1970 e nel 1970-1971 non aveva collezionato presenze ma, dopo la parentesi a Reggio Calabria e a Trieste, è poi diventato un cardine dell’undici biancorosso nel 1972-1973 (andando in campo 27 volte), nel 1973-1974 (34) e nel 1974-1975 (28 presenze). Domenica era al Franco Ossola per assistere al 3-0 dei ragazzi di Giuliano Melosi contro il Saronno.
Ho visto un ambiente animato da un grandissimo entusiasmo e la dirigenza merita la stima perché non è stato facile ripartire dall’Eccellenza, allestendo un’ottima squadra e tenendo alto l’amore dei tifosi. Mi è piaciuta poi anche l’iniziativa per premiare il miglior giocatore. Ha vinto il numero sette, vero?
Beh, come ho detto, io sono stato colpito dal numero sette: è un ragazzo che ha i numeri e potrebbe fare bene in categoria superiore, come del resto tutto il Varese. Melosi ha la squadra per vincere anche in D.
Vivevo al collegio De Filippi e alla mattina frequentavo la scuola: io sono diventato geometra a Varese. Nel pomeriggio mi allenavo e il nostro era uno dei vivai più organizzati e forti d’Italia: nei campionati Primavera c’era da aver paura ad averci davanti e Milan e Inter le beccavano da noi. Del resto avevo tanti compagni di qualità che poi si sono fatti onore, andando a giocare in A o addirittura in nazionale.
Claudio era un fratello ma avevo tanti altri amici. Crescere a Varese è stato qualcosa di unico e speciale. Ho vissuto più di vent’anni nell’Inter, considerando pure il post carriera, ma i miei ricordi più emozionanti sono biancorossi. Eravamo un grande gruppo, ben allenato e vorrei citare subito Maroso.
Era avanti rispetto a tutti gli altri: allenava dei ragazzini di vent’anni che vivevano in una villa a Varese e avevano bisogno di libertà. Lui ce la dava e poi toccava a noi essere responsabili, interpretare correttamente il ruolo di calciatore e stare alle regole.
Anche lui credeva molto nei giovani: faceva chiamare i quattro o cinque ragazzi più rappresentativi – badate non i migliori – della Primavera per farli lavorare in settimana con la prima squadra. Finito l’allenamento, bisognava tirare in porta e noi lo facevamo dal limite dell’area mentre lui calciava da metà campo costringendoci a spostarci. Sapete un giorno come mi convocò?
In quel periodo c’era il cosiddetto campionato De Martino, che di mercoledì mandava in campo le riserve o i migliori ragazzi del settore giovanile. Io facevo ancora parte della Primavera ed ero stato chiamato nella De Martino per una gara a Masnago che Liedholm non vide neppure per intero. Poi arrivò capitan Dellagiovanna per dirmi che l’allenatore mi voleva in prima squadra per l’impegno con la Juventus: finì 0-0 e a me toccò la soddisfazione di essermi guadagnato almeno una panchina in una partita di cartello.
Era un mondo diverso. Noi ragazzini del vivaio davamo rigorosamente del lei ai giocatori della prima squadra. Giuseppe Tamborini è stato un ottimo centrocampista e durante una stagione al Varese ebbe diversi acciacchi. Trascorse così qualche mese nella De Martino e una volta passò dal De Filippi per darmi un passaggio fino al campo. In macchina gli manifestai delle preoccupazioni su una partita e lui mi disse: «Di cosa ti preoccupi? Sei più bravo di me». Io mi imbarazzai tantissimo e gli risposi: «Signor Tamborini, ma che cosa dice?». Poi giocammo insieme a centrocampo e non sbagliai nulla perché il suo incoraggiamento mi aveva dato tanta consapevolezza.
In modo normale, visto che in quell’epoca, per il Varese questi successi erano routine quotidiana.
Sapevamo di essere forti e, affrontando le migliori squadre del mondo, come l’Argentina, il Brasile, la Polonia e la Germania, c’era solo quel pizzico di adrenalina in più. Eravamo tutti esperti e non ci facevamo impressionare da nessuno.
Per la partita che promuoverà in D il Varese. La squadra che mi ha lasciato i ricordi più belli.