Leonardo Okeke, quando il talento si perde nel rumore: cori volgari contro Varese e un’altra occasione mancata
Da giovane promessa del basket italiano a protagonista, ancora una volta, per motivi extra sportivi. Leonardo Okeke, 21 anni, pivot della Pallacanestro Cantù, è finito al centro di una nuova polemica per un comportamento tanto pubblico quanto evitabile: durante i festeggiamenti per la promozione in Serie A, è salito sul palco e ha guidato un coro offensivo rivolto a Varese – sua ex squadra – con un esplicito “Varesotto pezzo di m…”.
Un gesto che ha subito fatto il giro dei social (il video è stato diffuso da LE News), alimentando le critiche non tanto per il contenuto – il tifo ha i suoi rituali, anche goliardici – quanto per la provenienza del messaggio: un atleta tesserato, ex azzurro, protagonista sul parquet e rappresentante, anche simbolico, della squadra.
Un passato turbolento (non solo sportivo)
Non è la prima volta che Okeke fa parlare di sé fuori dai canestri. Già in passato era finito sotto i riflettori per un video imbarazzante con Andrea Dipré, in cui – tra ironia e malcostume – si inneggiava apertamente alla cocaina. Uno scivolone giovanile, certo, ma non dimenticato.
Poi l’infortunio in Spagna, rientrato a Varese dove la società e lo staff medico si sono presi cura di lui, aiutandolo nel recupero fisico e nel ritorno in campo. Un percorso seguito con convinzione da Luis Scola, che ha sempre creduto nel suo potenziale, fino a farlo tornare in campo in Serie A.
Ma nel 2023 arriva un’altra tegola: sospensione e successivo licenziamento da parte di Varese per una vicenda privata mai chiarita pubblicamente ma che, secondo indiscrezioni, aveva avuto conseguenze legali poi risolte. Okeke, ancora una volta, era stato allontanato dallo sport giocato.
L’episodio e le possibili conseguenze
Rilanciato a Cantù, Okeke ha avuto un ruolo di rotazione (4,6 punti di media tra regular season e playoff) nel ritorno in A dei biancoblu. Ma proprio nel momento della festa, ha perso l’occasione di dimostrarsi cresciuto, dando vita a uno spettacolo fuori luogo non solo per toni e contenuto, ma per il simbolo che rappresenta.
Sfottò tra tifoserie? Nulla di nuovo. Ma da un professionista tesserato, che ha anche indossato la maglia della Nazionale, ci si aspetta ben altro livello, soprattutto nel rispetto di chi – come Varese – lo ha aiutato nei momenti difficili. Non è questione di rivalità sportiva: è questione di responsabilità pubblica.
Ora si attende una possibile presa di posizione da parte della Federazione Italiana Pallacanestro, che potrebbe avviare un procedimento disciplinare. Non per punire lo sfogo da derby, ma per ribadire un principio chiaro: indossare una maglia, qualsiasi essa sia, comporta obblighi morali prima ancora che tecnici.
Un’occasione, l’ennesima, per riflettere sul valore dell’esempio nello sport professionistico.