VARESE Un metro quadro di cemento ogni due di terreno verde. Così appare la provincia di Varese, il quarto territorio più urbanizzato d’Italia con il 29% di superficie sottratto alla natura dopo le performance negative di Monza, l’unica ad avere più cemento che prati (il territorio urbanizzato è il 54% del totale), seguita da Napoli (43%) e Milano (37%). «La situazione è critica anche se gestita piuttosto bene a livello provinciale in materia di depurazione delle acque e smaltimento rifiuti – commenta l’ingegnere e docente di sicurezza ambientale dell’Insubria, Fabio Conti – Più difficile risolvere le conseguenze in materia di qualità dell’aria, vivibilità e mobilità per animali e persone». Tante le ragioni che giustificano la presenza di Varese tra i quattro territori più urbanizzati di Italia, come la vicinanza con Milano e il gran numero di imprese e insediamenti industriali, ma non sono una buona giustificazione.E tanto per cambiare il buon esempio arriva dall’efficienza tedesca: in Germania, abitano 229 persone al chilometro quadrato contro le 200 dell’Italia, ci sono infrastrutture e un’industria più sviluppate delle nostre eppure il consumo di suolo è fermo al 6,8% (la media europea è del
4,3%) contro il 7,3% della media nazionale italiana. Tutto un altro mondo. E alcuni numeri meglio di altri aiutano a capire dove sta il problema: secondo uno studio dell’Istituto superiore per la ricerca ambientale, dal 1950 la popolazione è aumentata del 28%, mentre la cementificazione è progredita a un ritmo sei volte superiore, +166%. Lo stesso studio calcola che in media ogni giorno vanno in fumo cento ettari, dieci metri quadrati al secondo. Come dire che in un solo anno il cemento impermeabilizza una superficie pari al doppio della città di Milano. A scapito del paesaggio, dell’ambiente, delle risorse turistiche e dell’assetto idrogeologico e dell’agricoltura.«Il problema vero è che una volta costruito su un territorio, quello spazio fisico non è più disponibile dal punto di vista naturalistico, nonostante parchi e giardini», spiega l’ingegnere Conti sottolineando che il processo è irreversibile, dunque bisogna prevenire.«Per farlo bisognerebbe sfruttare meglio l’esistente prima di procedere a nuove costruzioni, ma le normative in materia, che pure vengono rispettate, sono troppo labili», aggiunge il docente. E il muro di scudi sollevato dalle regioni contro l’ultima legge proposta in tal senso dal governo Monti la dice lunga.
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s.bartolini
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