Quello che è successo sabato sera a San Siro getta una luce obliqua sul calcio italiano proprio nel momento in cui sarebbe stato necessario altro. Un peccato, perché Milan-Juve era un grande spettacolo, l’hanno visto in diverse parti del mondo, aveva tutto per essere una meravigliosa occasione di sport. Invece è accaduto il contrario. Uno spettacolo penoso prima, durante e dopo il suo svolgimento. A proposito di credibilità del Paese, niente male.
Paolo di Benedetto
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Forse ci vorrebbe un governo tecnico anche per il calcio. O che magari il governo Monti si desse da fare per una riforma del calcio, visto che il calcio appare così riluttante ad autoriformarsi. Milan-Juve ha rappresentato la continuità dei nostri difetti pallonari: dichiarazioni avventate alla vigilia (il piagnisteo juventino sugli arbitri, le repliche milaniste da sberleffo al bar), errori arbitrali macroscopici (è inammissibile, veramente inammissibile, che partite di tal genere siano falsate da un clamoroso gol non visto) infine la rissa finale. Della quale abbiamo potuto assistere solo a una parte, il peggio è avvenuto nel ventre dello stadio. Oltre che il buonsenso (da noi scambiato per rivoluzionario ardimento) di adottare strumenti tecnici che garantiscano se la palla è dentro e fuori la linea di porta, o in alternativa di piazzare un terzo guardalinee in prossimità della porta medesima, ci manca la cultura sportiva. Ci manca soprattutto questo. Non siamo invece esenti, ma proprio non lo siamo, di un’altra cultura: quella del sospetto.
Dietro un episodio negativo s’intravede sempre il complotto, non l’errore. Il calcio tuttavia può accampare una parziale scusante: che questa cultura non gli appartiene in esclusiva, è una imperante caratteristica nazionale. E per niente in fase d’attenuazione, modifica o regresso. C’è sempre, dietro una difficoltà o un insuccesso la colpa altrui. Anzi, il dolo altrui. La macchinosa cospirazione. Che però è solo una miserevole giustificazione.
Max Lodi
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