VARESE Peo Maroso è morto all’una di notte, alle sei di mattina c’era già l’addio della curva spruzzato sul muro dello stadio. «Sono ragazzi, mio padre non l’hanno mai visto né giocare né allenare. Eppure sanno chi era e cos’ha fatto. Il Peo era il Varese, la valanga di messaggi d’affetto piovuta in queste ore lo testimonia»: parole commosse di Virgilio, che con la sorella Daniela ha accudito il patriarca fino alla fine, insieme alla signora Rosa, al dottor Besani e all’amico del cuore Ottavio Biasibetti.
Biancorosso per sempre
Il Peo riposa in casa sua: in mano il rosario, ai piedi la maglia viola del centenario e la sciarpa biancorossa. Il pellegrinaggio di amici e tifosi è continuo. Giurano i presenti che ieri, al gol del Genoa sulla Juve, lui, torinese e (a metà) torinista, abbia abbozzato un ghigno dei suoi.
Stava male da tempo: tumore indomabile. Virgilio ricorda con lucida dolcezza i passi d’addio, consumati senza apparire: «Finché ha potuto è andato allo stadio. Ultima partita Varese-Albinoleffe dell’anno scorso, vinta 2-1: alla fine abbracciò Carbone in spogliatoio, gli piaceva quel ragazzo. Ultima capatina due mesi fa, alla presentazione di Castori: si mise in fondo alla sala e poi, raccogliendo le forze, fece gli auguri al nuovo mister, come aveva fatto con Sannino, Maran e Benny».
E le partite? «Aveva rinnovato l’abbonamento tv alla serie B, la A non la guardava mai. Ma era a malapena riuscito a vedere Varese-Ascoli. Dopo, chiedeva di tenere alto il volume, così poteva sentire dall’altra stanza. E quando il Varese giocava in casa, voleva la finestra aperta della camera che dà sullo stadio, per ascoltare i rumori della folla. Ancora dopo Modena, con un filo di voce, non ha mancato la telefonata di rito con Montemurro. Sabato pomeriggio gli ho detto: papà, lunedì vado alla partita. E lui ha approvato alzando il pollice».
Felicità? Varese-Toro
I sogni: «Era felice di rivedere il Varese in B: nel 2004, quando gli avevano chiesto di mettersi in gioco, non ci aveva pensato un secondo. Il massimo della gioia fu Varese-Torino 3-0: scherzosamente avevamo deciso che uno di noi doveva fare il biancorosso e l’altro il granata, ma la verità è che eravamo entrambi in estasi, anche se lui, burbero, lo nascondeva bene. Ecco, forse avrebbe voluto anche ritrovare le sue due squadre del cuore in serie A. Magari quest’anno…».
Il Peo e la città: «La amava e la strigliava. Gli spiaceva lo stadio mezzo vuoto, ma sapeva che i varesini son fatti così. Non si sarebbe stabilito qui, se non fosse stato vero amore». Un do ut des franco, ruspante come lui. Usava dare appuntamenti più o meno ufficiali agli amici e ai giornalisti in due posti emblematici del suo modo di essere, lo stadio e la gastronomia di Avigno: un uomo di sport e di popolo a cui garbava stare nello sport e nel popolo. E ogni martedì la cena al Mattarello con la cerchia ristretta degli amici più cari.
Il Peo e la malattia. «Non è stato il primo colpo basso della sorte. Nel 2001 gli hanno messo cinque bypass al cuore, si è ripreso alla grande. Poi si è occupato di mamma, che non è stata bene: ha sofferto, lei ce l’ha fatta ma ne è uscito provato. Quando è toccato a lui, ha lottato come sempre: però, quando ha annusato la sconfitta, ha un po’ mollato. Da luglio la situazione è precipitata».
Cose da Guinness
Il Peo e l’addio. «Il patron Rosati gli ha scritto una lettera stupenda: lo ringrazio di cuore. Immagino che tra stasera e domani ci sarà un lungo e grande abbraccio. Alla città dico: vi ha dato tutto se stesso, non dimenticatelo. Alla squadra dico: so che Castori vi chiede sempre il 110%, beh, stasera date il 111%, un pizzico in più per il Peo. Io al Franco Ossola ci vado, come sempre, e quando torno mi siedo di là, vicino a lui, e gli racconto la partita».
C’è una postilla curiosa: «Avevamo contattato quelli del Guinness dei primati: merita di entrarci uno che ha vinto campionati da giocatore, allenatore, presidente e presidente onorario. Magari nel mondo non è l’unico, in Italia sì. Stanno vagliando la documentazione: l’iter è lungo, ma si va avanti». Duro a morire, il Peo.
Stefano Affolti
a.confalonieri
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