Il miracolo della Natività ritrovata

Simonetta Pagani è una restauratrice e ci racconta come ha riportato in vita un gioiello del Seicento. «Ne era rimasto il 25% e non si capiva cosa fosse». Oggi lo si ammira in un androne di via San Martino

– «Che emozione vedere sotto ai miei occhi, piano piano, svelarsi una Natività». È il racconto di , la restauratrice varesina incaricata da un privato – che vuole restare anonimo – di sottrarre al degrado un affresco rovinato che non si capiva neppure più cosa raffigurasse. Prima dell’intervento di restauro, ne restava poco meno del 25 per cento.
Non stupisce dunque che, con così poco intonaco, il soggetto del dipinto potesse sembrare una Madonna con bambino. Solo successivamente, rimuovendo lo sporco la composizione si è rivelata una Natività.

Stiamo parlando dell’affresco che si trova in via San Martino 4, nell’androne di quello che una volta era il convento dedicato a Santa Chiara e che poi è stato sconsacrato da Napoleone (dopo il suo arrivo, le Clarisse che lo abitavano, si trasferirono al Sacro Monte).
L’affresco è datato 1600 ed è realizzato da un autore ignoto. «Si tratta di una testimonianza di fede che non poteva andare persa, anche per riscoprire come si viveva una volta a Varese» afferma il privato. Di lui si sa che è milanese, proprietario di un appartamento vicino all’affresco e devoto a Maria. II generoso cittadino ha anche effettuato uno studio sulla Città Giardino. Ha scartabellato documenti e ha scoperto che la nostra è una città storicamente molto devota. Un esempio per tutti è il Sacro Monte, ma ovunque un tempo vi erano conventi.

Alcuni affreschi sono andati distrutti in interventi di restauro (soprattutto quando i luoghi religiosi sono stati sconsacrati e venduti ai privati). Ma di testimonianze ce ne sono ancora molte. Sarebbe bello salvarle prima che il tempo se le porti via per sempre. L’affresco di via San Martino costituisce dunque un bell’esempio di come il privato possa fare la sua parte per salvaguardare la memoria comune. Per portarlo alla luce sono servite tre settimane di lavoro. «La prima fase è stata dedicata al consolidamento. Si è trattato di chiudere una crepa e le fessure causate da chiudi (servivano per appendere drappi) con iniezioni a base di calce – spiega la restauratrice, che

ha lo studio nel chiostro Sant’Antonino – Dopo i tempi di posa, si è proceduto nel pulire l’affresco con impacchi di una sostanza apposta». Ed è lì che hanno cominciato a comparire figure insolite per quella che si pensava essere una Maternità. «Per prima cosa ho visto il corno del bue, poi affianco ho scorto l’asinello – continua Simonetta – Anche San Giuseppe è stato completamente ricostruito a partire dal drappo viola che portava addosso. Emozionante anche trovare i due giovani che di corsa andavano verso la capanna». Lo sfondo dell’affresco tradisce un’ambientazione nostrana: ovvero delle colline che paiono le Prealpi. Nel cielo sono comparsi anche alcuni uccelli in volo.

«Ho voluto restaurare in modo delicato, usando acquarelli reversibili, i frammenti più scuri sono quelli che risalgono all’affresco originario» conclude la restauratrice, che per farsi un’idea degli antichi dettagli – come la mano di Maria che solleva il drappo e mostra Gesù bambino – si è basata sull’inconografia del 1600.
Interessante anche la cornice dipinta intorno all’affresco. La restauratrice l’ha trovata verde, ma pulendola ha scoperto una molteplicità di sfumature in grado di dare alla cornice una sorta di percettibile tridimensionalità.