«Il nostro sogno è possibile. Vi racconto com’è nato»

Parla Nicola Busata, l’anima di Freerider: «Abbiamo creato una vera cultura della diversità»

Due chiacchiere con Nicola Busata, maestro di sci, responsabile corsi e una delle anime più importanti della Freerider Sport Events.

Io lavoravo e lavoro per l’azienda Caporali di Daverio, specializzata in ausili ortopedici, oltre a essere maestro di sci. Conoscevo tante persone disabili che venivano da noi per comprare le carrozzine e mi chiedevano: “Portaci a sciare”. Così, complice un attrezzo che ho scoperto a una fiera e la voglia di far ricominciare un amico maestro di sci che aveva avuto un incidente, abbiamo provato, mettendo in moto l’organizzazione e la curiosità. La cosa più

importante è stata insegnare davvero a sciare seduti: ho fatto la specializzazione in Francia, sono formatore per il collegio nazionale e posso preparare altri maestri. Questo è stato un grande traguardo: adesso ogni scuola di sci ti offre tre o quattro insegnanti con la specializzazione ed era uno dei nostri primi obiettivi. Perché un disabile che impara a sciare poi ci può andare da solo, con gli amici o con la famiglia. E’ stato necessario approntare un metodo di formazione, studiato prima in piedi, poi da seduti (io stesso mi sono seduto e ho provato a fare determinate cose), acquisendo esperienza: oggi, in soli tre giorni, facciamo sciare una persona.

Non potevamo creare sciatori disabili senza creare stazioni sciistiche che fossero in grado di accoglierli. E lo stesso discorso vale per gli hotel. Noi, fin dall’inizio, non abbiamo voluto alberghi per soli disabili, perché altrimenti è come se ti chiudessi in un ghetto. E stato invece fondamentale scegliere strutture normali, per far conoscere agli albergatori le esigenze di questi ragazzi e fare cultura di “diversità”. Perché i disabili sono clienti, generano movimento anche economico e quindi devono godere di servizi, come tutti. Per quanto riguarda le stazioni sciistiche, quando abbiamo iniziato abbiamo dovuto istruire tutti, perchè tutto era nuovo. Ora ci aspettano e ci danno una mano, per esempio mettendo a disposizione più personale e facendoci trovare piste adatte. Abbiamo acquisito credibilità ai loro occhi ed è la cosa più bella.


Facciamo dodici eventi all’anno, ognuno con un’intera settimana di preparazione alle spalle (prenotazioni, allestimento dei monosci, coordinamento) propedeutica alla partenza del giovedì. Niente sarebbe possibile senza la generosità e i sacrifici di chi crede nella nostra causa, sia per gli sforzi economici e organizzativi, sia per quelli di tempo: dodici eventi sono 48 giorni, chi ci segue deve prendere anche le ferie.

Abbiamo degli sponsor importantissimi e oggi come oggi non è una cosa scontata. La nostra attività sono mezzi che girano, persone che si muovono: avere un sostegno così è una grande fortuna. Su tutti mi permetto di citare Teleflex, multinazionale che fa materiali per disabili, con la quale è nato un lavoro di ricerca e sviluppo: loro vengono con noi nelle varie tappe dello Ski Tour e con i feedback che portano a casa creano nuovi prodotti. La molla però è il divertimento, è lo stare bene insieme: l’azienda viene a sciare con noi perché siamo diventati una grande famiglia. Un weekend con la Freerider significa essere accudito e gestito da quando arrivi a quando riparti. Significa feste, musica, casino. Chi sta con noi si appassiona ed è questa la chiave del successo nel mondo della disabilità.


Sempre grazie a Teleflex facciamo un promo-tour che gira per le Unità Spinali d’Italia, dove parliamo dell’attività che facciamo e spieghiamo come funziona, facendo capire agli interessati che sciare è possibile, basta solo fidarsi di noi. Uno pensa che possa essere una cosa pericolosa, ma in 15 anni di ski tour gli infortuni che abbiamo avuto non si contano nemmeno sulle dita di una mano.

I numeri, in primis: la quantità di persone che riusciamo a far sciare. All’inizio non andavamo oltre i 10 monosci, poi con l’esperienza, il mestiere e un gruppo di persone sempre più grande ad aiutarci siamo arrivati a gestirne anche il doppio a ogni tappa. E poi capire che la generosità di chi ci sta vicino non è fine a se stessa: nasce perché la gente capisce quanto è bello ciò che facciamo. I disabili prima erano abituati a nascondersi: quando noi avevamo iniziato questa attività quelle due o tre scuole che già esistevano erano in posti dimenticati da Dio, nemmeno segnati sulla cartina. Adesso noi li portiamo a Bormio, a Campiglio, a Canazei, al Sestriere…».

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