Dopo una quindicina d’anni a seguire e raccontare le vicende della Pallacanestro Varese abbiamo imparato una cosa: i raduni sono la fiera della banalità. Ma sì, alla fine è sempre la stessa storia. È tutto un fiorire di «Non vedevo l’ora di iniziare», «Giocare in questo palazzetto è il sogno di tutti», «Gli stendardi sul soffitto trasmettono storia ed energia». Le prime volte ci credevamo, e poi ci restavamo male quando quelli che promettevano amore eterno e si battevano il pugno sul cuore dopo ogni canestro prendevano strade diverse: l’A8 in direzione Milano (e il privè dell’Hollywood), oppure quelle di società più danarose. Ormai, abbiamo smesso di crederci. Sogniamo sempre l’arrivo di un nuovo acquisto che dica: «A me della vostra storia e di quegli stendardi appesi al soffitto non me ne frega nulla, fino a stamattina nemmeno sapevo dove fosse Varese sulla cartina, giocare qui o in Burundi per me è la stessa cosa basta che mi paghino. Però so che se gioco bene e magari vinco qualcosa, l’anno prossimo posso andare da qualche altra parte e farmi pagare quattro volte tanto». Ma sappiamo che no n succederà mai, quindi ci mettiamo il cuore in pace e ci godiamo il raduno per quello che è: la fine del periodo più brutto dell’anno per tutti quelli che sono ammalati di basket. Quello che va dalla sirena dell’ultima partita al primo allenamento di metà agosto. Niente di più. Certo, è anche l’occasione per guardarsi attorno e rivedere facce amiche. E fare il punto sulla situazione. Proviamoci, anche questa volta. Per
esempio: negli ultimi mesi, secondo noi, il presidente Stefano Coppa ha commesso tanti errori. E sia chiaro: noi non gliene abbiamo fatto passare uno. E non perché ci stia antipatico, e nemmeno perché avevamo chissà quale guerra personale da combattere. Ma perché riteniamo che un giornalista abbia il dovere (prima che il diritto) di provare a dire le cose come stanno e di difendere la sua idea di verità. Negli ultimi giorni il presidente Coppa ha detto una cosa che ci è piaciuta tanto, della quale gli diamo atto. Ha detto, senza mezzi termini: «In questa squadra c’è molto di mio, quindi la difenderò fino alla morte. Ma nessun alibi per chi sgarra». Ecco: questa è una di quelle uscite che ci piace sentire dal nostro presidente ideale. Quindi, bene: a patto che a questa dichiarazione seguano poi i fatti (in caso contrario, chiaramente, la Provincia sarà qui a rompere le scatole e fare le pulci). Detto questo: buona stagione, cara Pallacanestro Varese. E un abbraccio personale a tutti i tifosi che ieri sera erano al palazzetto (anche a quelli che c’erano con il pensiero): una presenza non scontata. E quasi mille persone al 19 di agosto sono davvero tante. Senza un Pozzecco a richiamare entusiasmo, con una stagione disastrosa alle spalle, con una squadra fatta da dieci giocatori nuovi: bello, insomma. Lo sappiamo, lo sappiamo che Varese è un posto speciale e che qui l’amore per la pallacanestro è atavico: non è una scelta, non è una decisione. Lo sappiamo bene: però è bello, ogni volta, stupirsene.