Il patto col diavolo salverà il Varese?

L’editoriale del direttore Andrea Confalonieri sul drammatico esonero di Stefano Bettinelli

Se nella vita (nel calcio) contano prima gli uomini e poi tutto il resto, la cacciata di Stefano Bettinelli dalla panchina del Varese rappresenta il distacco finale e definitivo di una squadra (società) dai principi, dalle finalità, dai rapporti familiari, diretti e sinceri che dieci anni fa ne permisero la rinascita. Non potendo impiantare un’anima cinica, un po’ avventuriera e

fondata sull’individualismo nelle vene di una squadra nata dall’amicizia e dallo spirito pionieristico di quattro amici che attorno a un tavolino del bar pensavano di cambiare il mondo (Papini, Maroso, Caccianiga, Sogliano), questo corpo biancorosso malato e diviso tra ciò che era e ciò che non può essere finirà inevitabilmente per scomparire. Se nasci bianco non puoi morire nero.

Se invece anche il Varese si adeguerà una volta per tutte a ciò che non era all’origine ma a quello che ormai è il mondo che lo circonda, vendendo l’anima forse agli unici disposti a salvarlo (il vicepresidente Imborgia e il direttore generale D’Aniello), forse potrà pure pensare di schivare la retrocessione pur avendo sacrificato l’umanità, la saldezza morale, la purezza (che a qualcuno sembrava perfino antipatia), l’onestà intellettuale e la durezza di comprendonio (in realtà è saldezza di principio) di Bettinelli. Se accettiamo l’idea che ogni mezzo è lecito pur di mantenere la serie B, e che in definitiva il fine giustifica quel mezzo, il Varese potrebbe pure farcela. Ma siamo disposti a farlo?

Scegliete voi se volete una squadra che sta a questo mondo, e se siete disposti a fare il patto con il diavolo pur di continuare ad esistere o se preferite tornare bambini, magari tra i dilettanti o se va bene in serie C, per essere ciò che eravate o eravamo e che abbiamo perduto.

Noi non abbiamo alcun dubbio e di fronte a quel collega che diceva in sala stampa «l’anno prossimo avremo tanti week-end liberi per andare in gita anziché allo stadio», risponderemmo esattamente come ha fatto Filippo Brusa: «Se si riparte dalla terza categoria, tu non ci sarai… Noi invece sì, e sulla “Provincia” daremo al Varese lo stesso spazio che gli diamo in serie B». Anzi, forse di più: perché a volte è necessario toccare il fondo, quel fondo dove in tanti non verranno (fortunatamente), per fare un bel bagno purificatore. E poi si riparte di slancio. Lo diciamo senza peli sulla lingua: Varese-Bizzozero o Varese-Brescia se ci sono le persone, le storie e lo spirito giusti, o un “respiro” profondo, per noi sono esattamente la stessa cosa.

L’esonero di Bettinelli è tutto qui: avrà cannato cambi e formazioni, ma il suo Varese era una squadra di uomini. Giocava bene o giocava male, magari sbagliando moduli, ma lo faceva per qualcosa o contro qualcuno. Da oggi forse sarà messo meglio, avrà il 3-5-2 o il 4-3-2-1 o il 3-3-3-1 o il diavolo che volete, metterà in campo la diagonale perfetta, schiererà tre stopper e finalmente Fiamozzi ala, sgancerà il fenomeno Jabbour o l’attaccante Kurtisi miracol mostrerà, ma avrà fallito nella sua missione iniziale: che non è quella di fare risultato, giocare bene, salvarsi o retrocedere ma vivere nel modo giusto. Mantenendo la parola data, non contattando due nuovi allenatori prima di un match decisivo come quello con il Brescia se in panchina hai ancora il “tuo” allenatore, sfiduciando le persone nel momento stesso in cui mancava la fiducia (cioè un mese e mezzo fa, a dir poco), non quando fa comodo o non puoi più farne a meno.

Aggiungiamo che a farci un’immensa rabbia oggi non sono tanto i dirigenti Imborgia e D’Aniello, gli ultimi rimasti sulla barca che affonda e che alla fine hanno tirato fuori il rospo decidendo di giocarsi le ultime 14 partite a modo loro e con il “loro” uomo, invece che con quello in cui non avevano più fiducia, ma i giocatori.

Fino all’altra sera in ogni intervista pre e dopo-partita, in ogni allenamento e in ogni messaggio privato, in ogni faccia a faccia con l’ex allenatore avevano giurato eterna fedeltà a Bettinelli. «Con lui andiamo all’inferno – aveva detto uno di loro, importante ed influente – e se lo toccano, il giorno dopo non ci presentiamo nemmeno al campo». S’è visto. Molte parole, pochi fatti. Come con Castori. Come con Sottili. Appena fiutato il vento, tutti zitti e riposizionati. Da guerrieri a pecorelle. Qui qualcuno non è un uomo, forse tutti. Perché passare dalle magliette “B come Bettinelli” mostrate a cinquemila persone nella sera della salvezza con il Novara al silenzio tombale con cui ieri è stata accolta la cacciata dell’idolo-padre-condottiero, ce ne passa. Ma forse è meglio così.

Da oggi non avranno più nessuno da cui andare a piangere, solo maglia e tifosi a cui rispondere senza il cuscinetto-Betti. Se retrocedete, giocatori del Varese, retrocedete voi ancora prima della società che alla fine ha solo fatto ciò che si sentiva. Per noi è sbagliato ma per voi, se state tutti zitti, dev’essere la cosa giusta.

Non avete saputo difendere Bettinelli, se non a parole: adesso provate a difendervi da soli. Sul campo, con i fatti. Sapendo che stavolta non arriverà in vostro aiuto nessun Riccardo Sogliano, come accadde prima della finale playout con il Novara, quando in un incontro riservatissimo disse ad alcuni di voi: «Non fate i furbi perché poi io in tre giorni lo vengo a sapere. Andate e salvate il Varese». Nessun altro quest’anno ve lo dirà: tocca solo a voi, e alla vostra coscienza.