«Ho visto la partita col Tradate, grande atmosfera. Poi siccome ero via ho saltato le prime, ma domenica rientriamo nei ranghi». Virgilio è un Maroso: senza Varese non sa stare. Oggi sono tre anni senza il Peo, l’erede ci fa da tramite con l’aldilà.
Strano: a volte mi sembra ieri. Poi vado a trovarlo al cimitero, mi soffermo a guardare la sua foto e sento il peso dell’assenza.
Ha lasciato un vuoto incredibile, e manca sempre di più. Mi manca soprattutto la nostra telefonata quotidiana delle 18, in cui si parlava di tutto ciò che ci succedeva. E mi manca l’analisi domenicale della partita del Varese. Impazzirebbe per Valentino Rossi: era un suo grande tifoso, lo definiva un uomo incredibile. Di lui gli piacevano la tenacia e la fame da ragazzino.
Che Lorenzo fa la fine di Gibernau. E giù una risata.
E da vecchio granata godrebbe a vedere la Juve quasi ultima.
No: ci scherzerebbe su, ma senza cattiveria. Lui, a differenza di me, era obiettivo: se la Juve meritava lo diceva senza peli sulla lingua. Per esempio, era scettico su Calciopoli: aveva sempre riconosciuto la bravura di Moggi.
Sarebbe amareggiato, ma anche entusiasta di ripartire con le persone giuste. Troppe brutte cose negli ultimi due anni: magari sarebbe sceso in campo prima anche lui per salvare la baracca, ma questo fa parte dei se e dei ma. La realtà è che è finita in modo indecoroso: il Peo è stato uno dei padri fondatori del Varese 1910, hanno ucciso il suo e il nostro sogno.
Assolutamente sì: quando si ha il Varese nel cuore si è sempre presenti. Si sarebbe messo a disposizione per una nuova rinascita, cosa che sta accadendo ora, oltretutto con uomini che conosceva bene, da Scapini al mitico Enzo Rosa. Lo avrei tirato anch’io per la giacchetta.
Prenderebbe spunto dall’esperienza del 2004: sempre senza apparire, solo per fare il bene del Varese. Al mister non direbbe niente, se non su precisa richiesta: era molto rispettoso dei ruoli.
Anche differenze. Dalla B è stato un bel precipitare, però ricordi così freschi del calcio che conta tengono vivo un minimo di entusiasmo: undici anni fa era totalmente sparito. Il nuovo Varese è stato bravo a tenere acceso il fuoco nella gente: marketing efficace, squadra ottima.
Il Varese si ama ovunque sia. Risaliranno tutti sul carro, per forza. Al momento bastano i soliti duemila guerrieri del Franco Ossola. Noi siamo pane e salame, tutto il resto alla lunga fa male.
È un grande, per capacità, qualità umane e temperamento. È arrivato lassù “alla Maroso”, partendo da lontano e meritandosi tutto. Sì, gli somiglia: fronzoli zero, carattere tanto. E poi ha uno come Luca Sogliano alle spalle. Papà tiferebbe per lui.
Penso anch’io: si può concentrare di più, per darci speranza e positività.
Io lo vedo tutti i giorni: aveva una personalità talmente forte che mi accompagna ancora in tutte le decisioni. È difficile senza di lui, ma cerco di capire i segnali.
Altroché. La scorsa primavera ero al cimitero con mia mamma: dopo la preghiera gli ho chiesto di guardare giù per il Varese nei guai. A un certo punto mamma mi dice: guarda, la foto è bagnata, sta piangendo per il Varese! Io mi son detto: ahia, se piange lui è finita.
Di tenersi in forma, di godersi da Velate la splendida vista del Sacro Monte. Di darci una mano a superare le difficoltà. E ovviamente di aiutare il Varese a rinascere. So che più d’uno della nuova società va regolarmente al cimitero.
Sì: è un gruppo eccellente, il giusto mix tra vecchietti come Gheller, bandiere come Luoni, giovani. E ha uno strabiliante Marrazzo.
Il Varese è il Varese anche per loro.
Sarà una giornata carica di emozioni per me, mamma, mia sorella Daniela, Martina e Antonella. Ci passeranno in mente tante cose.
C’è tempo: ci hanno messo anni anche per il mito Scirea.