Il Poz perdona, ma non troppo: «Bisogna imparare a saper perdere»

Gianmarco Pozzecco dice la sua sulla vicenda Mancini-Sarri di questi giorni: «Può succedere di andare sul pesante, senza qualificare automaticamente chi pronuncia parole simili come un omofobo»

Anche a Gianmarco Pozzecco è successo di litigare in modo molto vistoso con un collega di panchina. Il Poz era alla guida di Capo d’Orlando, durante il campionato di Lega2 2014/2015, il secondo anno della sua carriera da allenatore.
Al seguito del basket, a maggior ragione quello non di serie A, non ci sono telecamere dai cento occhi, né microfoni speciali, né quasi mai giornalisti espressamente dedicati a narrare ciò che avviene a bordo campo.

Di quello che disse Gianmarco nel suo alterco con , coach di Ferentino, si è saputo (quasi) tutto solo a posteriori: qualche parola di troppo, c’è chi asserisce anche una bestemmia, un tentativo di contatto e una sfuriata dello stesso Poz in sala stampa nel post gara.Come spesso è capitato, capita e capiterà nella sua vita, quella volta l’uomo di Gorizia finì sotto la lente di ingrandimento, anche se in modo non paragonabile alla querelle Mancini-Sarri fomentata durante tutta la giornata di ieri. Un po’ per il precedente personale, un po’ per la sua nota passione calcistica, un po’ perché uomo di sport che ha giocato e allenato sia in patria che all’estero, all’ex biancorosso abbiamo chiesto un parere sull’accaduto.
Ecco il Poz-pensiero, direttamente da Zagabria: «La premessa è che i giocatori, nel calcio come nel basket, raramente vanno davanti a un microfono dopo la partita a raccontare ciò che si sono detti con gli avversari quando erano sul campo: certe cose nascono lì e lì finiscono. È vero che il mestiere dell’allenatore è un po’ diverso, perché quando sei in panchina hai un ruolo e una rilevanza pubblica maggiore, però aver dato così tanto peso alle parole di Sarri mi è sembrato fuori luogo. Ma la cosa assurda è soprattutto un’altra…». Prego: «Mi chiedo se quelli che ora criticano abbiano mai visto due persone, anche di una certa età, litigare… Ma secondo voi in quei momenti ci si dice cose come “sciocchino” o “cattivone”? È chiaro che può succedere di andare sul pesante. E dire “frocio” a una persona non è bello, ma non qualifica automaticamente chi pronuncia quella parola come un omofobo. Trovo che strumentalizzare un episodio in questo modo sia davvero esagerato».

È chiara la posizione di Pozzecco: «Conosco Mancini e lo stimo molto. Non conosco Sarri, ma mi piace perché mi sembra un uomo vero. Possiamo limitarci a dire che non è accaduto nulla di grave? Non si sono nemmeno azzuffati». E fuori dall’Italia si verificano eventi del genere? E quali sono le reazioni? La risposta di uno che ha una certa esperienza di vita sportiva oltre i confini (due anni in Russia e qualche mese in Spagna da giocatore, poi l’attuale parentesi da vice allenatore al Cedevita in Croazia) è articolata: «Qui entriamo nel merito della nostra cultura, che è sbagliata perché non sa accettare la sconfitta. E questo particolare è capace di generare cose che altrove non si vedono o si vedono meno».
E poi c’è dell’altro: «Stadi e palazzetti sono considerati delle zone franche in cui tutto è permesso, anche ciò che fuori, nella vita normale, sarebbe censurabile – continua il Poz – Il punto quindi è che all’estero c’è meno tensione e più lucidità nelle reazioni. Me ne accorgo anche qui a Zagabria: quando perdiamo io e Veljko (Mrsic, il capo allenatore anche lui indimenticato ex biancorosso, ndr) andiamo fuori di testa, mentre presidente e dirigenti sono tranquillissimi. Dispiaciuti, ci mancherebbe, ma tranquilli. In questo senso è un altro mondo. Dal quale, noi italiani, siamo davvero ancora lontanissimi».