Il presidente e quel grazie tra la gente

Pronto, sono Scalfaro…». Il cuore mi saltò e lo stomaco si strizzò sino a farmi male. Il presidente continuò: «Buongiorno signora, la voglio ringraziare e mi voglio complimentare….l’abbraccio affettuosamente e che il Signore benedica lei e la sua famiglia». Non riuscivo a parlare. Balbettavo dei «grazie…troppo buono…altrettanto di cuore…». Quante volte noi (troppo presi o non abbastanza coinvolti) abbiamo rimandato o dimenticato un saluto,

un pensiero, un ringraziamento, una telefonata che avrebbe gratificato chi ci aveva ricordato? Lui, il Presidente, ha telefonato due volte in un giorno. Per ringraziarmi di un pensiero gentile che gli avevo scritto, nel richiedergli un autografo per mio figlio, e poi per salutare il ragazzo, suo ammiratore. Su al Colle c’era il Capo di Stato, ma l’uomo era giù con il popolo.

Marisa Colombo
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Capitò anche a me qualcosa di simile una decina d’anni fa. Chiamata la sua segreteria per ragioni professionali, dopo qualche ora ritelefonò lui personalmente in redazione. Ci volle qualche istante per credere che fosse davvero Scalfaro e non l’abile artefice d’uno scherzo. Il presidente era fatto così: teneva a esser vicino alla gente, e cercava di mantenersi il più possibile fedele a questo proposito. Era del resto una caratteristica diffusa tra i politici della Prima Repubblica. Andreotti rispondeva con bigliettini personali, e tempestivamente, per ringraziare delle recensioni ai suoi libri. Craxi, se capitava l’occasione, intratteneva rapporti cordiali con l’ultimo dei cronisti di provincia, come se l’avesse conosciuto da sempre. Erano uomini che avevano compreso come lo stile del governare consistesse anche in una grande attenzione verso i piccoli gesti. Ciò non li esentò da errori – e nel caso Craxi, da altro di peggio degli errori – ma li preservò da quello dell’estraneità all’anima popolare del Paese.

Max Lodi

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