Il razzismo che infetta lo sport

E’ riapparsa la bestia nera del razzismo. Ci sono atteggiamenti che passano alla storia dello sport e l’inqualificabile gesto di Luis Suarez, attaccante uruguayano del Liverpool, che si è rifiutato di stringere la mano al francese di colore del Manchester Evra, sarà ricordato come uno dei peggiori. Il razzismo, figlio della stupidità, va combattuto e per gli intolleranti serve la tolleranza zero. Lo sport, grazie al

gioco, è una pratica che possiede una logica antirazzista, dove si incontrano etnie miste, e i giochi olimpici contribuiscono con i valori della tolleranza a sviluppare  il concetto  di integrazione. E’ importante ,se vogliamo che lo sport moderno torni ad essere strumento di integrazione sociale, riflettere su alcuni spettacoli di massa legati al tifo violento, dove non mancano espressioni di razzismo (slogan ,striscioni e discorsi).

Angelo Perego

Lo sport riesce qualche volta a esprimere il meglio della società: l’agonismo corretto e leale, la forza vincente d’un gruppo, il prevalere del merito, la disponibilità alla sofferenza pur di raggiungere un obiettivo, il rispetto condiviso delle regole. Ma è anche capace di dare la ribalta al peggio. Non di rado sulle tribune, tra gli spettatori, e qualche volta perfino in campo, tra i giocatori. Com’è stato il caso della mancata stretta di mano di Suarez a Evra.
Ci sono per fortuna, da qualche tempo, normative internazionali che puniscono le manifestazioni di razzismo, ma non sono purtroppo sufficienti a estirpare il persistere d’una mentalità che va ben oltre i confini dello sport. E che risiede nel mancato completamento, se così si può dire, del processo culturale evolutivo. Tempo fa il famoso autore americano di teatro, Neil Simon, ci regalò una battuta da conservare: la differenza tra molti uomini e la frutta è che la frutta prima o poi matura. Dobbiamo (siamo costretti) a conservare la battuta perché, ahinoi, non perde d’attualità. Alcuni (molti) uomini sono alla frutta, ma senza essere maturati.

Max Lodi

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